Alessandro Bonzi blog - Internet e motori di ricerca

Mainly Internet business, but also life mysteries and videogames

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Electronic Arts, digital business +800% in due anni!

Riccitiello, CEO di Electronics Arts, il piu’ grande distributore di video games al mondo, dopo Vivendi-Blizzard, aveva preparato i propri investitori a una loss attesa per il 2008. Con il Q1 2009 terminato, la perdita di EA e’ stata infatti di 454 milioni di dollari per il precedente anno fiscale (marzo 2008-marzo 2009). E i 1100 posti tagliati già annunciati.

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DIGITAL DOWNLOAD E PAY-PER-PLAY NEL FUTURO DI EA – Ma EA si sta riorganizzando gia’ da parecchio tempo, dopo aver capito che troppi giochi costano qualita’ e revenue, ha preferito distribuire meno titoli, ma di maggior spessore e soprattutto sta spostando aggressivamente la distribuzione dei giochi al digital download, rafforzando inoltre un modello di business pay-per-play che alle prime analisi e’ parecchio promettente.

Solo pochi anni fa, le micro transazioni e download digitali generavano 50 milioni di dollari per EA. L’anno fiscale passato ha visto generare invece ben 400 milioni di dollari, una crescita di quasi 10 volte e si parlava solo di 140 milioni di dollari dell’anno prima.

E’ un modello che verra’ pesantemente reso disponibile per fine anno con una serie di titoli, come Battlefield Heroes, Battlefield 1943, o gia’ rilasciati da poco come Battleforge, Fifa soccer 2009, PGA Tour Golf, e altri titoli di EA Sports.

PAY PER PLAY, NON PAGO IL GIOCO MA PAGO MENTRE GIOCO – Come funziona? La gente paga poco il gioco (o è pure gratuito) e lo scarica via Web. Poi puo’ pagare per avere armi aggiuntive, oppure il completo della propria squadra del cuore o accessori e gadget virtuali, come per il mondo di The Sims 3 oppure per le magie di Harry Potter, l’ultimo gioco rilasciato da EA e gia’ primo nelle classifiche di vendita da 5 settimane.

Solo per Fifa 2009, un add-on di terze parti ha generato 10 milioni di dollari di vendite aggiuntive nelle prime sei settimane dal rilascio per la versione Xbox360 e Ps3!

In Sud Korea, Fifa Soccer Online genera 1 milione di dollari al mese dalla vendita di uniformi, scarpette e altri extra per i proprio giocatori virtuali!

DIGITAL DOWNLOAD E LA PIRATERIA – Ma non solo. La distribuzione digitale e il digital pay-per-play risolve anche un altro problema per EA.

Con l’uscita di The Sims 3, il 2 giugno 2009, la copia pirata del gioco fu scaricata 180 mila volta addirittura prima che uscisse il gioco in maniera ufficiale. Con il Digital Download EA ha rilasciato subito una serie di add-on per il gioco disponibili solo online tali da rendere il gioco “piratato” assolutamente limitato e obsoleto. Inoltre oggi, gli utenti registrati accedono ad una serie di caratteristiche aggiuntive per il gioco sempre nuove, gratuite o a micro-pagamento, tali da rendere il gioco molto più longevo e competitivo (e lucrativo direi).

STEAM, L’ARTEFICE DEL DIGITAL DOWNLOAD – Riccitiello era stato anche criticato di essere lento ad entrare in questo settore. La distribuzione digitale e’ stata resa popolare dai concorrenti di EA, uno per tutti dalla Valve con il sistema di distribuzione digitale online chiamato Steam, il quale continua ad aggiungere etichette sempre piu’ prestigiose, per ultima la celebre LucasArts della Lucasfilm, quelli di Guerre Stellari, insomma.

E LucasArts ha annunciato di ditribuire tutti i suoi vecchi giochi per PC attraverso Steam, in modo che chi non ha avuto la possibilita’ di giocare ora puo’ farlo agilmente e senza problemi di distribuzione. E’ come per iTunes con il quale la musica “vecchia” diventa facilmente accessibile tanto quanto quella nuova, cosa che non succede in un negozio “brick” dove c’e’ solo una scelta limitata alle novità.

UN REMAKE DI LUSSO PER IL DIGITAL DOWNLOAD: MONKEY ISLAND IS BACK – E per gli amanti delle avventure, Lucasarts entra nel Digital Download in modo eccelso. Monkey Island non solo e’ stato rifatto in versione digitalmente migliorata, audio e video, col nome di The Secret of Monkey Island Special Edition (anche per iPhone n.d.r.), ma una serie di NUOVE avventure inedite saranno distribuite dallo sviluppatore Talltale, sotto supervisione di Ron Gilbert in persona, inventore dei personaggi dell’avventura come Guybrush Threepwood,  — Gilbert ai tempi uscì da Lucasarts al terzo episodio, ma rimase detentore del copyright sulla serie –, la cui prima e’ gia’ disponibile con il nome di Tales of Monkey Island:  the Screaming Narwhal, sull’autentica riga della comicita’ ed eleganza di una volta.

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Cloud Computing: un chip per Apple iTunes?

Originalmente nati come HaaS “hardware as a service” e SaaS “Software as a Service”, il cloud computing e’ la convergenza delle architetture hardware e software che permettono di elaborare dati, raccogliere dati, dare dati in modo distribuito.

In parove povere, Clound Computing e’ il servizio che viene distribuito in reti locali o mondiali per migliorarne l’utilizzo da parte degli utenti. Nato nel 1999, oggi l’esempio piu’ classico e’ la Search di Google: il servizio e’ il piu’ vicino possibile alla tua adsl per massimizzare la sensazione di velocita’ del servizio.

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E’ normale infatti imputare al servizio un disservizio della rete che ci collega ad esso. Tale comportamento dovuto alla latenza di una rete o alle applicazioni che usiamo per navigare spesso trasferiscono al servizio la sensazione di poverta’ dell’offerta. E’ facile, insomma, dare la colpa al servizio finale anche quando in realta’ esso non ha nessun problema, ma lo ha qualcosa tra noi e loro. Una pagina web che si blocca e la colpa e’ del sito web, quando magari e’ un plugin di Flash o Java malfunzionante o la rete di Alice adsl lenta a risolvere gli IP per collegarsi.

Per questo il Clound Computing trasporta il piu’ vicino possibile all’utente il servizio desiderato. IBM, Microsoft, Google con il superbo progetto Google App Engine, Amazon nomi sulla bocca di tutti. Con Amazon, che per prima tenta di portare il servizio a piu’ utenti possibili, attraverso le AWS (il servizio a pagamento di Amazon per gli sviluppatori) e’ possibile dare anche una propria FOTO e chiedere ad amazon di darla agli internauti attraverso il loro servizio di cloud computing. Se un giapponese visualizzera’ la vostra foto, la ricevera’ da server in giappone, se e’ un tedesco, da server di Francoforte. Costoso per i piccoli, efficace per i grandi.

IL CLOUD COMPUTING DI APPLE – Quando Apple presento’ AppStore, il servizio di iTunes per distribuire le applicazioni di iPhone, una riga tra le slide del keynote di Jobs recitava “Fastest Delivery Worldwide”; questa riga sottolineava come AppStore avrebbe massicciamente utilizzato una tecnlogia Cloud Computing per distribuire le applicazioni iPhone nel mondo. Questo significa che quando siete su iTunes di un PC o su AppStore direttamente dall’iPhone e scaricate una applicazione, questa sara’ trasferita nel tempo minore possibile.

Il fatto che le applicazioni di iPhone (e anche la musica di iTunes) vi vengano recapitate alla massima velocita’ e’ fondamentale per associare al servizio la sensazione di “Velocita’”. E’ importante per il successo dello stesso.

Per questo Apple fa uso di tecnologia Software e Hardware as a Service per iTunes.

La disponibilita’ di banda larga permettera’ a questi servizi di diventare sempre di piu’ utilizzati e utilizzabili. Nei videogames, sono state annunciate importanti operazioni di digital download. Benche’ nel 2009 e’ previsto che solo il 2% del mercato del Gaming sara’ venduto tramite digital download, la distribuzione di applicazioni e media tramite reti sara’ sempre piu’ attuale.

Quando Apple e Google annunciano di voler costruire proprie farm, la notizia anni fa non associava immediatamente alla necessita’ di poter deliverare velocemente non solo pagine web, ma anche applicazioni e musica.

NON TUTTO E’ MUSICA – Parallelamente alle applicazioni e alla musica di iTunes, Apple sta giocando un’altra delle partite secondo lo stile di “Jobs”. Con l’esperienza fatta in Disney-Pixar e con le porte (quasi) spalancate dopo il successo di iTunes, e’ facile per Jobs ipotizzare un business plan che coinvolga le major cinematografiche per la distribuzione dei film e delle serie TV anche su iTunes. Be’ lo fa gia’, ovviamente. In iTunes USA e’ stato appena annunciata la disponibilita’ di film e serie in formato HD (High Definition).

Distribuire film (in HD) non e’ proprio come distribuire file audio o applicazioni iPhone di 10 megabyte. E’ vero che ci sono applicazioni di 100 megabyte gia’ su iTunes, ma la media e’ di 10 megabyte.

Quando si parla di “acquistare” una serie TV in HD da iTunes, vuole dire accedere da 300 a 900 megabyte di dati da scaricare. Se volete scaricare un film in HD magari con audio 5 canali, si parla di almeno 3 o4 gigabyte. Se per la musica bastava vincere lo scetticismo delle major, per i film c’e’ un problema di delivery dei media.

TECNOLOGIE HARDWARE PROPRIETARIE PER LA DISTRIBUZIONE DI SOFTWARE – E’ OnLive, il servizio di distribuzione dei videogiochi online che si annuncia come “il futuro di internet” e sostenuta addirittura da Steven Spielberg, la prima azienda che vuole trasferire dati (videogiochi in questo caso) in una nuova modalita’ composta da tecnologie di compressione proprietarie e streaming parziale dei giochi.

Forse per questo Apple, da anni avida accentratrice di tutti i nuovi film in uscita al formato proprietario Quicktime MP4 e recentemente indaffarata ad assumere ingegneri AMD, puo’ voler pensare ad una propria tecnologia di compressione hardware che permetterebbe di distribuire applicazioni di megabyte o film di gigabyte in meta’ tempo, di diventare la piu’ grande scatola di distribuzione digitale e di aumentare il valore dei propri macbook e desktop (o iPhone e media TV vari che si inventera’) con il semplice fatto che possono vedere i film… meglio e piu’ velocemente cosi’ come iPod fu per la musica.

In questu blög senza la lüüs: Cofanetto 40 Pass Corriere della Sera

Visto che sono assente da queste pagine da qualche settimana (ma ci sono buone ragioni legate all’e-commerce di cui parlero’ presto), ne approfitto per lasciare nel Web due righe di commento riguardo ad un’ottima iniziativa di Davide Van De Sfroos, cantautore lombardo, che da qualche lunedi’ allega al Corriere della Sera un CD audio con le sue canzoni per un’opera audio e video da collezione.

copertina

Davide e’ uno dei migliori.

Questa con il Corriere e’ indubbiamente un’ottima iniziativa, ma sono sicuro che per i fan da sempre di Davide l’opera non e’ apprezzata in tutti i suoi aspetti purtroppo, anzi, e’ un dispiacere, non per’ il packaging o l’idea che e’ perfetta, ma per un elemento fondamentale … l’audio e la qualita’ delle tracce che e’ … assai deludente, cupo e rimbomba come registrato da dietro chi suonasse, tanto da non poterlo ascoltare (si preferisce di gran lunga gli originali o i “laiv”) una volta che si sono vissuti gli anni di concerti e delle canzoni del cantautore comasco.

Inoltre, tutte le canzoni sono cantate davanti ad una piccola platea e spesso arrangiate piu’ lentamente  degli originali peggiorando in alcuni contesti il tono e l’enfasi degli originali, l’ironia e la poesia.

Un must per chi ama Davide, ma spesso troppo groove in questa edizione qualitativamente “deludente”. Se vi piace, andate a sentire dal vivo i “veri” Davide Van De Sfroos.

Edit: emozionante il DVD con il concerto di Milano.

Android: Donut, Chesscake, hamburgar che sia, il biz di google è… ancora la search!

Android 1.5 è stato presentato da Google e ora la sfida con iPhone e Windows Mobile è ufficialmente lanciata. Secondo Google ci sono il triplo di utenti di cellulari al mondo (3,2 miliardi) rispetto agli utenti Internet.

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Benchè la previsione di vendita dei cellulari che utilizzano Android (i cosiddetti gPhone) è stata parecchio conservativa (8 milioni di gphone previsti nel 2009 contro i 23,9 di Apple iPhone), le news dell’annuncio riportano il dato percentuale di crescita (900% di gphone rispetto al 70% di Apple iPhone), dimenticando che gphone parte da zero e che da zero a 9 unità vendute è già un +900%.

 

DONUT, CHESSCAKE, HAMBURGAR CHE SIA, IL BIZ DI ANDROID E’ NELLA SEARCH – Ma Google prepara già la sua battaglia successiva. Con la stessa partita, Android 2.0 “Donut” può supportare schermi video molto più ampi e compatibili con i 10″ pollici, ad esempio, dei netbook.

E’ chiaro che più device Google possieda e più utenti utilizzeranno le applicazioni Google e tra tutte, la Search, l’unica che ad oggi è la fonte di revenue per il colosso di Mountain View.

Che sia un gphone o un netbook, gmail, calendar, google maps, voice search, web search, tutte quante per Google dovranno e vorranno solo far fare click sui risultati di ricerca, locali si spera. Per questo Google sta investendo parecchio per espandere le proprie attività sulla Local Search (quella che, ad esempio, in Milano vi permette di trovare luoghi e destinazioni commerciali vicino a voi). Per Google le revenues del 2008 sono state del 97% provenienti dalla Search a pagamento (e il 3% è licenza di tecnologia e server).

 

APPLE ITUNES LEADER NEL DOWNLOAD A PAGAMENTO – Quando si guarda Apple invece, si scopre che iTunes è stata la startup più veloce al mondo a rientrare a break even (già nel 2007 1,9bn$ al 30% di margine, dati Billboard US e 4 miliardi di canzoni vendute), potersi pagare lo sviluppo di iApps, lo store online delle applicazioni per iPhone, distribuire musica e applicazioni in cloud computing e diventare il numero 1 al mondo in fatto di applicazioni vendute per telefonini. Non da meno, è il negozio di musica più redditizzio al mondo, più di Amazon o di qualsiasi prodotto Microsoft, Zune compreso.

Insomma, Apple fa già soldi dal solo iPhone e iTunes ha già sfornato più di un miliardo di applicazioni, di cui un 15% pagate, soldi per Apple, ma anche soldi per gli sviluppatori.

 

IL SUCCESSO DIPENDE DAL RAPPORTO CON GLI SVILUPPATORI – Sono gli stessi sviluppatori che commentano il successo di iTunes e di iPhone annunciando di “fare finalmente soldi” da una applicazione per cellulari, dopo numerosi tentativi falliti per Symbian o RIM. Non a caso iTunes sforna applicazioni nuove ogni giorno, ci sono i titoli più famosi di ogni casa, Electronics Arts, Namco, Filemaker, etc mentre Android.com sembra una pagina “under construction” senza applicazioni in vendita.

Insomma, il successo di iPhone non è solo nell’avere rivoluzionato la piattaforma dei mobile, ma di avere re-inventato il successo sulla disponibilità e facilità di installazione e sviluppo di applicazioni gratuite e commerciali. Apple ha consolidato il rapporto con i developers in questi anni, grazie alla rivoluzione Intel/Unix di MacOS da essere stata definita “una buona iniziativa” da parte di Ballmer stesso.

Vi ricordate quando iPhone fu introdotto, Nokia tentò di dissuaderne l’acquisto mostrando i problemi d’utilizzo della tastiera virtuale del prodotto di Apple? Bè, sappiate che quella, in grado di seguire la rotazione del telefonino, è una delle feature di “punta” di Android 1.5 di Google.

 

LA QUALITà ALLA BASE DEL PIACERE D’UTILIZZO – Infine, c’è un dettaglio di qualità su cui vale la pena spendere due parole. Il prodotto di Apple e le patent che lo proteggono permetto all’iPhone di avere dettagli e animazioni “fisiche” piacevoli. Ad esempio, le applicazioni si aprono con un effetto zoom (e nello stesso modo si chiudono), le pagine alla fine di una sequenza sbattono contro al margine del telefonino se si tenta di farle passare alla pagina successiva, le foto letteralmente “volano” nel cestino o nella posta se spostate e le icone sono tutte ombreggiate e perfettamente disegnate. E’ uno stile che Apple porta con sè da sempre; Android è il prodotto che invece nasce su carattere cosmopolita, meno dettagliato, ma più aperto, ma per questo gli manca un tocco di classe e di piacevole usability.

Apple controlla la qualità del prodotto con rigide regole di programmazione e distribuzione. Una delle questioni per cui le applicazioni Apple non possono produrre processi in background è per evitare che una applicazione programmata male produca un processo zombie che rimanga appeso e consumi calcolo macchina e pertanto vi faccia durare un iPhone metà delle ore. A chi dareste la colpa se il vostro iPhone facesse metà della durata di quanto scritto nelle specifiche? Ad Apple sicuramente. Per questo Apple vuole maniacalmente controllare lo sviluppo del suo device. Qualità significa successo. 

Se Android, che è basato su Linux 2.6, diventerà un open source oppure sarà dato in licenza a più case, per Google il controllo della qualità sarà uno dei problemi più grandi. E’ vero che le applicazioni di Google sono fatte da Google e lo sviluppo delle specifiche di Android è anche controllato dal consorzio creato da Google chiamato The Open Handset Alliance, ma dare Android a Sony Ericsson, Motorola, HTC, significa permette lo sviluppo da terzi e da terzi di terzi e generalmente i consorzi permettono l’adozione di standard ma non il controllo della qualità dello sviluppo. Dopo quanti mesi il vostro Windows sembra andare metà della velocità del primo giorno? Se succedesse questo anche per Android, non ci sarà battaglia.

USA +10% Online Advertising, -17% Carta Stampata; Video Ads boo!

IAB riporta che lo spending online per il 2008 (US) è cresciuto del 10,6% per un totale di 23,4 miliardi di dollari, mentre la Newspaper Association of America riporta un calo del 17% nella pubblicità raccolta dalla carta stampata (37,85 milardi di dollari), ma evidenzia un calo della stessa raccolta da questi ultimi per l’online pari all’1,8%.

Quindi una crescita dell’online non grazie alla raccolta della carta stampata per l’online. Anche se quel 10% di crescita totale dell’online è lontano dal 26% visto nel 2007, è comunque un segnale di tranquillità per l’online advertising, ma quale se non è quello dei portali di informazione?

In UK, dove per il 2008 Carta Stampata e Online Advertising sono entrambe al 19% dello spending totale (spesa online in UK 3,4 miliardi di Sterline), il 60% delle revenues on-line sono state prodotte dalla “search”, ovvero dal keywords advertising (“search marketing”) di Google, di Yahoo! e di MSN. E di sicuro la maggior parte di queste revenues sono imputabili al primo dei tre.

E se guardiamo alle nuove “sperimentazioni” dell’online, qualcosa che non sia search, non va bene. Nel report US per l’online spending si legge che “Video ADs advertising”, la pubblicità inserita nei video online, è cresciuta al 3% del total spending online (circa 700 milioni di dollari) dal 2% del 2007. E’ un dato interessante, ma solo perchè accompagnato dall’annuncio di Google del 27 Marzo di terminare la possibilità di fare pubblicità nei Video usando Adsense.

VIDEO ADVERTISING RIMANDATO – Per Google la pubblicità tramite Video non produce il ritorno atteso e ha costi di gestione e controllo qualità che non ne giustificano il margine. Probabilmente gli stessi “inserzionisti” non sono in grado di produrre Ads nel modo corretto per generare un ritorno adeguato. Dopo tutto nemmeno i banner Flash in Adwords stanno funzionando come previsto, per le difficoltà di realizzazione e utilizzo sui siti del network di Google.

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Eppure i video e la pubblicità negli stessi sono gli esperimenti per Google per “arrivare” a proporre una bozza di piano strategico per l’advertising sui media come la Televisione, uno scenario in cui utente, connessione e adwords possono diventare revenue anche per il primo media mondiale così come oggi lo sono per internet. A quanto pare il modello ha ancora bisogno di tempo e quale momento migliore  se non ora per rimandare qualche sperimentazione.

Televisione 1, Google 0

Dopo tutto, lo stesso ex CEO di Yahoo!, Terry Semel, proveniva da quello stesso mondo delle televisioni per approdare nel media on-line più grande del mondo e farlo sposare con il media più grande del mondo (offline). Arrivato in Yahoo! fece shopping del miglior Search Marketing sul mercato, Overture, per poi farlo sposare con il più grande Media già esistente, sperando in un matrimonio unico nel suo genere e un primo tassello per il futuro del media advertising. Fu così, ma Google fu più veloce.

Ma per Google è solo questione di tempo. Intanto per continuare a produrre un progetto di video advertising gli serve che funzioni l’adversiting di Adwords anche su altri media “intermedi” come il Mobile ad esempio (che va a nozze con il Local, il business della local search che prende sempre più forma), dei pre-modelli che poi possono evolvere verso il video. Deve funzionare il behaviour targeting che sta costruendo in Adwords e in Adsense (il 97% delle revenues del 2008 di Google, il 99% nel 2006), deve possedere un pò di utenti, dalla prima connessione all’ultimo click e deve saper scegliere qualità degli Ads senza che sia l’advertiser a suggerirgliela.

Con obiettivi a lungo termine come questi, è facile posticipare ora quello che non funziona, riprenderlo tra qualche anno e nel frattempo attraversare un periodo di massimizzazione del Search Marketing e integrazione dello stesso in Mobile e Local.

Magie della crisi? 7,2€ di aumento dal nulla al mese nel leasing Volkswagen!

Che sia lecito, non ho dubbi.

Sta di fatto che con un colpo da veri maghi della crisi (o anti-crisi per loro?), la società di Leasing Volkswagen Bank manda una lettera annunciando di cambiare le modalità di “comunicazione” ed “esecuzione” degli addebiti, stando ben attenti a non fare mai riferimento alla parola “avverse condizioni”, “cambiamento delle condizioni” o “crisi”, per giustificarla come un “normale” decorso di un contratto di leasing.

I “cambiamenti” di comunicazione implicano semplicissime voci “aggiuntive” da pagare, ovviamente.

Spese per comunicazione 2€+IVA
Spese di incasso 4€+IVA

I leasing sono due, pertanto il tutto è raddoppiato, visto che la comunicazione la fanno due volte (anche se in modo identico).

volkswagen bank aumenta il costo del leasing

Fate due conti, sono 7,2€ lordi che per ogni fattura la Volkswagen Bank si incassa SENZA AVERE FATTO NULLA; per qualche migliaio di leasing nel mondo fa subito un 200-300 mila euro all’anno da contratti esistenti. Sempre che siano “solo” qualche migliaio.E visto che il leasing dura sempre un sacco di mesi (almeno 36), l’aumento è proprio un tocco da maestri. Lo chiamerei “un furto” se non fossi educato. 

Costi di comunicazione? Mandate una mail! Spese di Incasso? Leggete oltre.

Se nel 2008 le spese di Addebito RID erano di 0,50€, ora sono misteriosamente diventano di 1€, +100%. Che cosa coprono? Bè per la banca sono le “spese di incasso” degli organi coinvolti nelle operazioni, che guarda caso in parte è ancora la Volkswagen Bank ovviamente.

Alla faccia dell’aiuto delle banche e degli organi di controllo dei crediti!

Videogiochi: ONLINE +22%, RETAIL -23% nel 2008

Se i videogiochi RETAIL, quelli in scatola da Mediaworld tanto per dire, nel 2008 hanno perso il 23% delle vendite, al contrario i giochi on-line sono cresciuti il 22%, quasi la stessa percentuale come se questi ultimi si fossero mangiati parte del RETAIL.

GAMING ONLINE + 22% — Con 1,4 miliardi di dollari di revenue nel 2008, World of Warcraft con 11,5 milioni di abbonati è il leader della categoria, seguito da ben 220 titoli.

Ecco i primi 10 del 2008.

1) World of Warcraft
2) Club Penguin
3) RuneScape
4) Eve Online
5) Final Fantasy XI
6) The Lord of the Rings Online
7) Dofus
8) Age of Conan
9) City of Heroes
10) EverQuest II

onlive logo

DISTRIBUZIONI DIGITALI IN ARRIVO – Che la parola RETAIL non piaccia molto ultimamente alle case di videogiochi è evidente anche dalle parole di Steve Perlman, nato tra le mura di Apple nel lontano 1990, ora annuncia con Mike McGarvey, CEO della Eidos — quelli di Tomb Raider e Age of Conan –, una modalità di download in streaming per videogiochi, chiamata OnLive.

OnLive potrebbe distribuire giochi RETAIL di Electronic Arts, Ubisoft, Take-Two, Warner Bros. Interactive, THQ, Epic Games, Eidos, Atari Interactive e Codemasters via Internet, senza scaricare migliaia di byte per iniziare a giocare.

RETAIL è la parola “cattiva”, non piace più perchè online si stanno formando realtà che dimostrano di fare (più) soldi senza stampare e distribuire una scatola e un manuale. 

Ma che OnLive sarà un successo è troppo presto per dirlo, intanto Electronic Arts stessa si prepara ad un suo proprio servizio di download e così Blizzard Vivendi con l’arrivo di Stracraft sta potenziando il suo Battle.net, il sistema in cui gli utenti si incontrano online in tutto il mondo e possono anche fare shopping o download dei giochi.

SONY MICROSOFT E NINTENDO CHE FANNO? – Sony, Microsoft e Nintendo intanto stanno a guardare. E’ normale, non piacciano mai le partenze sbagliate da parte loro, ma certo non stanno inattivi e se i sistemi funzionano e sono troppo in ritardo, corrono a comprare tecnologia di altri.

Nintendo inoltre pare che invece il RETAIL lo adori. La WII continua a trionfare ogni mese con un numero di console vendute impareggiabile. Solo a Febbraio 2009, in US vende 750,000 unità, Xbox 391,000 unità e la PS3 con 276,000.

Titolo / Produttore / Unità* 
1) Wii Fit w/ Balance Board (Wii) / Nintendo / 644,000
2) Street Fighter IV (360) / Capcom / 446,000
3) Street Fighter IV (PS3) / Capcom / 403,000
4) Wii Play w/ Remote (Wii) / Nintendo / 386,000
5) Killzone 2 (PS3) / Sony / 323,000
6) Mario Kart Wii with Wheel (Wii) / Nintendo / 263,000
7) Call of Duty: World at War (360) / Activision Blizzard / 193,000
8) Mario Kart DS (DS) / Nintendo / 145,000
9) New Super Mario Bros. (DS) / Nintendo / 144,000
10) Guitar Hero World Tour (Wii) / Activision Blizzard / 136,000

E la crisi? Niente da fare, aveva ragione Electronic Arts sulla crisi e i videogames, a Febbraio le vendite rispetto a Gennaio 2009 sono state del +10%

Tim Armstrong in AOL, lascia Google.

Tim Armstrong diventa presidente e CEO di AOL. Presidente delle operations nelle America di Google Inc, lascia la posizione dopo avere costruito il più grande team media mai creato in una società Internet.

IN GOOGLE DAL 2000 – Armstrong era entrato in Google nel 2000 e aveva da subito posto le sue indicazioni di successo nello sviluppo di un modello e prodotto di Ads, Adwords e Adsense, che ha poi fatto la fortuna di Google come ben sappiamo.

Fino al 2000 Google non aveva bene in mente se il modello di Ads dovesse essere a CPM o a Display Advertising tramite una piattaforma come Doubleclick.

GOOGLE PRINT, TV E AUDIO ADS – Però Armstrong è stato anche quello che ha seguito lo startup di progetti come Google Print, Google Audio (!!!) Ads e Google TV, tutti progetti che sono stati annunciati in chiusura da parte del gigante di Mountain View.

Inoltre in AOL troverà non solo Google come competitor, ma uno peggiore: Time Warner stessa (Time Warner possiede AOL), che in periodi come questi quanta libertà vorrà disporre ai budget del nuovo CEO di AOL?

 

BRIAN BERSHAD E IL DOPO WEB DI GOOGLE – Intanto Google, per conto di Brian Bershad, una mente tecnologica uscita dalla “University of Washington” e in Google dal 2007 annuncia che la difficoltà di Google è ora quella di cercare e indicizzare tutti quei dati che non sono accessibili liberamente come invece lo è il web e che questa seconda fase sarà per Google di gran lunga più difficile rispetto ad un “semplice” indicizzare il web, che è libero e disponibile per tutti.

Farsi dare i dati dalle persone e dagli utenti è la cosa più difficile, meno di doverle poi organizzare.

Nello stesso tempo in Google è sempre estremamente attuale la discussione sui cambiamenti della SERP, la pagina dei risultati di ricerca.

Ad esempio, tempo fa dopo lunghe discussioni si volle cambiare la scritta indicante la pubblicità di Adwords in rosso, in modo di attirare maggiormente l’attenzione della gente e aumentarne i click e quindi le revenue.

Le revenue aumentarono, ma poi si scoprì che benchè la gente cliccasse di più, le persone, con il passare del tempo, osservavano di meno gli ads sponsor, deteriorando quindi la user experience. 

Gli ads sono tornati blu.

flickr_logo

FLICKR DI YAHOO!, FINALMENTE IL GIOIELLINO TORNA A CORRERE – Ma quello che mi ha stupito di più in positivo oggi è finalmente vedere che il piccolo gioiello in casa Yahoo!, Flickr, il sito di upload foto di yahoo!, mai integrato come si deve negli altri servizi di quest’ultimo, forse per paura, forse per incapacità, permette finalmente (un timito) upload di Video! E ci voleva tanto? Flickr è veramente molto carino e soprattutto molto facile da usare, più di Picasa ad esempio, e spesso nell’account Pro offre una serie di caratteristiche di indubbia validità, ma da anni Flickr era immobilizzato da un “strana” aurea negativa portata dall’acquisizione di Yahoo! e da lunghissime discussione di integrazione mai giunte a buon fine.

Lich King – Dawn of War II 0 a 2; Blizzard e il 2009

La scorsa settimana l’invincibile mucca da soldi della Blizzard, World of Warcraft, con l’espansione Lich King di Novembre 2008 e’ stato battuto, di nuovo, nelle vendite dal diretto concorrente Warhammer 40,000 Dawn of War II della Relic Entertainment.

warhammer2

Le due settimane di secondo posto non sono un segnale di cedimento, per ora, ma tra le righe Blizzard Vivendi sta certamente pensando ai suoi prossimi mesi con attenta analisi alla crisi.

Ad inizio Febbrario Blizzard Vivendi con 2,3 miliardi di dollari di fatturato netto negli ultimi 3 mesi aveva annunciato anche 72$ di dollari di perdita per un periodo in cui aveva lanciato titoli come Guitar Hero World Tour, Lich King appunto e Call of duty World at War. Per questo, sono stati annunciati licenziamenti e taglio dei costi.

La macchina da soldi Lich King, pero’, vista da dentro fa trasparire alcuni campanelli d’allarme mai visti prima d’oggi.

PROBLEMI TECNICI SUI SERVER – Intanto problemi tecnici sui server troppo affollati che non vengono risolti. Da Novembre tutti i server sono sottostimati, ma la risposta di blizzard e’ rallentare il gioco piuttosto che risolvere il problema con un incremento di costi tecnologici. Ancora piu’ giustificato dopo l’ultimo risultato, tanto e’ vero che dopo avere annunciato la soluzione del problema, esso e’ stato solo diminuito.

GIOCO INCOMPLETO – Inoltre, il gioco e’ uscito con una parte mancante. Lo scopo del gioco e’ affrontare nemici potentissimo in gruppi di 25 in dungeon sempre piu’ difficili. Annunciati almeno 2 dungeon, ad oggi il secondo ancora non e’ stato rilasciato e il gioco si e’ velocemente appiattito, prima del previsto.

BUDGET RIDOTTI – Infine, la stessa espansione era gia’ stata sviluppata a budget ridotti. La stesss animazione iniziale del gioco, ogni release ne ha una di livello indiscutibile, presenta soluzioni tali a ridurne il costo, come, ad esempio, la scelta di animare un solo personaggio e un solo drago, a differenza della costosissima presentazione dell’espansione di 2 anni fa, the burning crusade.

Pertanto, che la mucca da soldi World of Warcraft debba massimizzare i margini si era capito, ma l’effetto a lungo andare puo’ essere duna disaffezione, soprattutto se un titolo concorrente fa parlare di se’. Lo aveva gia’ fatto, prima che uscisse Lich King; nelle fasi di transizione di un gioco verso la propria prossima versione, il rischio di perdere utenti e’ maggiore.

Blizzard intanto annuncia che presto ci sara’ la beta di Starcraft 2, il gioco che ha reso possibile il successo della societa’ negli anni precedenti ad oggi. Eppure anche per Starcraft 2 sono gia’ state prese decisioni drastiche, atte a massimizzarne il successo (decisione corretta, ma quanto nasconde paure di pestarsi i propri piedi e perdere utenti di WoW per utenti di Starcraft?).

Da uno, infatti, sono gia’ stati annunciati tre titoli e spostata la release di almeno 18 mesi dall’uscita di Lich King, insomma come per dire, vediamo come va con Lich King e intanto pensiamo a come creare la seconda mucca da soldi. Forse Starcraft verra’ accelerato se la crisi aumenta, giusto per evitare di avere troppe perdite per il 2009.

E intanto il direttore del progetto di World of Warcraft, Jeff Kaplan, e’ stato spostato su di un nuovo progetto. Il prossimo gioiello del gaming online sara’ ancora un prodotto Blizzard?

Lo shopping di domani: il “next e-commerce”

Se c’è una evoluzione darwiniana dell’e-commerce per gli shopping comparison è evidente, ma come e verso quale direzione si sta andando?

Due gli aspetti possiamo immediatamente inquadrare. 

  • Il prodotto (il sito per dirla breve) e come ci interagiamo: la shopping experience;
  • Il modello di business.

 

LA SHOPPING EXPERIENCE

Sono cinque le variabili che identificano l’analisi della “shopping experience”: l’offerta, il controllo, la convenienza, l’aspetto sociale e il contributo.

 

L’offerta dei prodotti

Lo shopping di una volta era limitato a pochi prodotti, a poche opzioni, a singoli prodotti, poche opzioni di ricerca se non nessuna.

Lo shopping di oggi è vasto in alcuni casi, parecchie opzioni a disposizioni per visualizzazione, scelta e selezione, e la ricerca sempre presente, ma giusto sufficiente.

Lo shopping di domani, il “next e-commerce” sarà quello in cui i risultati saranno giusti per me, la ricerca sarà la migliore e tali i risultati.

Nello stesso modo il Controllo è in evoluzione.

Lo shopping di una volta non dava assolutamente controlli all’utente, nessuna wish list, history, l’utente era SCONOSCIUTO fino all’acquisto.

Lo shopping di oggi ha introdotto controlli per l’utente di moderata entità, ma lo strumento di comunicazione più usato è la newsletter.

Lo shopping di domani sarà quello in cui io potrò controllare la mia esperienza, creare avvisi sui prodotti, avere history, poter fare confronti di prezzo, online e offline, salvare la mia esperienza e interagire per adattarla ogni volta meglio. 

Convenienza

Una volta lo shopping era una convenienza soltanto per il merchant. Era il negozio a decidere quando fare shopping.

Oggi la shopping experience è fatta per l’utente e spesso è conveniente per me.

Lo shopping di domani sarà quando potrò comperare sempre e in qualunque momento e da qualunque luogo.

Social e Connessioni

Lo shopping di una volta era solitario. Compravo da solo.

Oggi compro da solo, ma posso interagire con migliaia di opinioni e recensioni saltando di sito in sito, blog e forum.

Lo shopping di domani sarà quello di poter comperare grazie alla community a cui appartengo, chiedere consigli e avere risposte, ottenere e dare feedbacks autentici sugli acquisti.

Contributo

Lo shopping di una volta era un sito di ecommerce sviluppato per poi sperare che io ci andassi a comperare.

Lo shopping di oggi è ancora il negozio del merchant, ma per fortuna qualche volta posso dire la mia.

Lo shopping di domani è quello in cui la mia voce è un contenuto rilevante. posso costruire le mie opinioni, le mie pagine e la mia user interface, e condividerle con gli altri se apprezzate.

 

 

IL MODELLO DI BUSINESS

Il modello di business degli shopping comparison, praticamente degli agenti di vendita, è invece declinato anche in tipicità di internet (quindi come dei non agenti di vendita).

Per ogni click che mando al negozio, lo shopping comparison guadagna un certo valore (una media di 0,12€). Questo modello è tipico di internet, premia chi paga di più, ma si dissocia dalle normali dinamiche di vendita tipiche di un negoziante con il suo venditore in cui quest’ultimo è pagato sul successo delle vendite e non per il semplice fatto di fare entrare clienti nel negozio (che possono anche non comprare nulla o disinteressati).

Per ogni vendita che ti faccio fare, lo shopping comparison guadagna una certa commissione (una media del 4%). Questo è il modello più semplice per chi vende, è quello che naturalmente ci aspetteremmo anche online.

Ovviamente le due strade comportano diverse evoluzioni nel prodotto. La mia opinione è che il “next e-commerce” deve per forza evolvere attraverso il secondo modello di business, in cui negozio e piattaforma dello shopping experience tentano di risolvere aspetti di integrazioni con i negozi e con gli utenti non necessari nel modello in cui non mi interessa nulla del fatto che tu negozio sappia vendere, tanto paghi il click che ti mando in ogni caso.

La domanda vera è se il mercato è in grado di supportare un’evoluzione in quella direzione e quanto tempo dovremo aspettare prima che sia consolidato. Per questo chi sta percorrendo quella strada verso il “next ecommerce”, sta anche introducendo nuovi modelli di fidelizzazione.

 

DINAMICHE DI FIDELIZZAZIONE: Rebate e Cashback

Vi ricordate tutti il Riders Digest, vero? Era una pubblicazione mensile, oggi divenuta un colosso editoriale, nata nel 1922 negli Stati Uniti in cui il focus era quello di fare informazione popolare a 25c$ a numero. 

Ad appena 5000 copie vendute, essa introdusse un sistema di abbonamento che chiedeva ai lettori di pagare un certa cifra annuale fissa grazie alla quale si sarebbe fatto parte di un club di lettori esclusivi. Tali lettori avrebbero avuto la possibilità non solo di ricevere la rivista, ma anche di poter acquistare letture o pubblicazioni a prezzi molto più bassi di quelli di copertina. L’obbligo era di acquistare un certo numero di letture in un anno.

Un pay-per-club che tutt’ora è il modello di business di parecchie realtà che fanno vendita door-to-door oppure opt-in in cataloghi di prodotti riservati. Paghi una certa fee per poter acquistare prodotti venduti a prezzi molto più bassi di quelli in negozio.

Questo tipo di modello è oggi uno dei più remunerativi poichè praticamente la domanda-offerta è costruita quasi su misura e spesso la capacità d’acquisto di questa dinamica di business permette di operare con contratti vantaggiosi. In Europa online c’è ad esempio Webloyalty, gestita, tra l’altro, da Martin Child, ex CEO di Yahoo! Search Marketing UK.

REBATE E CASH BACK – Nella definizione di modelli di fidelizzazione che producano ritorno dei clienti c’è oggi online qualche forma di “rebate” o “cash-back”, come evoluzione di un modello consolidato dell’offline nord americano.

Però vanno spese due parole sul modello del Rebate tipico degli USA, perchè noterete subito che alcuni aspetti di quel modello non funzionano se portati online.

Come funziona intanto il Rebate? Semplice, si acquista un prodotto che costa 100€, all’interno del prodotto viene dato un sistema via mail o immediato per riavere indietro €20. Pertanto per poter pagare il prodotto 80€, è necessario a) spedire una cartolima e aspettare 4-6 settimane b) tornare al negozio con il coupon e ottenere i 20€.

La prima cosa da notare è che lo sconto è dato dal produttore e non dal negoziante. E’ chiaro che la prima domanda è perchè il prezzo non sia subito di 80€. Ovviamente nell’attività di “rebating” esiste una componente che si chiama “attrition” o “breakage” che determina in percentuale quanti rebate non giungono al successo per errori di compilazione, assenza di ricevute, date d’acquisto errate e altro. In ogni caso il rebate è spesso mail-in in modo da permettere al produttore comunque di incassare soldi e di doverne ridare una parte indietro dopo qualche mese, una specie di “prestito” destinato a qualunque tipo di investimento.

Insomma è un win-win per chiunque, sa il ciclo funziona sempre per tutti. Il produttore riceve più soldi subito, il negozio non rischia nulla, anzi può incentivare il prodotto con il rebate per ulteriori commissioni dal produttore e il cliente alla fine paga di meno.

Online oggi ci sono un pò di realtà che hanno preso questo modello e allineato alle esigenze di uno shopping comparison. Per primo Jellyfish, lo shopping poi comprato da Microsoft, aggregò centinaia di migliaia di prodotti 3 anni fa per primo offrendo un “rebate” su tutti i prezzi dei prodotti.

Il sistema lavorava nell’ottica di posizionare l’offerta come unica nel suo genere sia per gli utenti che per i negozi che vi partecipavano, sperando (come poi è successo) di generare interessi sempre più crescenti da parte di tutti.

Jellyfish non fa altro che fare accordi con i negozi che aggrega e stabilire una certa commissione sul venduto, come un agente di vendita. Stabilita la percentuale di guadagno, il modello di business sembrerebbe concluso. Più vendite ti porto e più commissioni guadagno.

Ma in Internet gli utenti vanno acquistati in varie modalità. Fidelizzare gli utenti con un sistema di Rebate è esattamente perfetto per un modello a commissione, poichè dei 10€ che Jellyfish prende dalla vendita di una stampante può decidere di darne una parte come “rebate” indietro all’utente che ha acquistato il prodotto.

E perchè no, anche il 100% di quello che Jellyfish guadagna.

In questo modo è come vendere prodotti i quali tutti contengano un rebate significativo. Come per il modello offline, anche online si deve aspettare. Aggressivamente Jellyfish può decidere di darti subito i soldi (un “immediate rebate”) sostenendo esso stesso l’esborso di cassa anticipato.

DIFFERENZE TRA IL REBATE OFFLINE E ONLINE – Bè, le differenze con il modello offline sono evidenti. Intanto nel modello offline, c’è proprio una componente di “insuccesso”, il “breakage” che fa parte del modello di business, che online non esiste più, poichè il 100% delle vendite e tracciato da tecnologie che non possono giustificare una “perdita” di una vendita. 

In secondo luogo non è più il produttore a fare “rebate”, ma un agente di vendita. Questo implica due problemi, un primo problema di cassa, visto che il produttore incassa di più e poi rende una parte, qui invece l’agente incassa un parte piccola che deve subito rendere all’acquirente. In secondo luogo il margine che rimane all’agente può essere troppo basso per sostenere il modello (anche se qui si introducono dinamiche nuove come quella del riders’ digest in cui una volta che il sistema funziona, semplicemente si va dai clienti e si crea un club, per anticipare cassa, creare capacità di acquisto e ribaltare il modello offline).

Abbassare il prezzo del prodotto è comunque alla fine la variabile. Non è difficile immaginarlo, ovviamente. A parità di qualità, a chi non piacerebbe pagare di meno una cosa, parecchio di meno?

La sfumatura tra “rebate” e “cash-back” è semplice. Benchè entrambi i sistemi abbattano un prezzo post-sale, in pratica nel cashback, i soldi indietro possono essere di chiunque, negozio, aggregatore, comparison o altri che sia. In questo caso un comparatore di prezzi fa il “cashback” perchè non è un produttore. Mentre è un “rebate” quando il prezzo di un prodotto viene tecnicamente abbassato con una fase di mail-in al produttore stesso, un’operazione di legittima proprietà dei produttori o distributori autorizzati.

Come Jellyfish, le dinamiche del cashback oggi le stiamo studiando in Bestshopping.com, il comparatore nato proprio su queste linee guida.

Ci sono altre realtà ovviamente oltre a bestshopping.com (ricevo spam regolarmente su questo blog da amministratori di S.R.L. ma che se contattati per approfondire l’argomento non rispondono nemmeno…), ma non sono veri e propri comparatori prezzo, ma seguono comunque dinamiche di cashback e rebate come quelle descritte in queste righe. Direi che sono più vetrine fatte con liste prodotti di altre affiliazioni e non contratti diretti con i negozi con lo scopo di accorpare indirizzi e-mail per generare business dal mailing e spesso, ahimè presentano online contratti legalmente discutibili, con clausole vessatorie non sostenibili e violazioni palesi nell’essere “sostituti di imposta” che sostengono di non dover fare ed essere a carico degli utenti! Insomma c’è ancora del far west in Italia, ma l’offerta del cash-back sarà sempre più presente anche in Italia.

Rif. Daily Net di oggi 18.02.2009 – pagina 12

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