Mainly Internet business, but also life mysteries and videogames

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Di tutto e di piu’ sul web e su di me, ma niente di specifico.

E alla fine vinse LeChuck!

La Disney ha appena chiuso definitivamente la Lucasarts.
Per quelli che non sanno molto di Videogiochi, la Lucasarts ha creato alcuni dei giochi più famosi del passato, uno tra tutti The Secret of Monkey Island, un’avventura grafica con protagonista cattivo un pirata demoniaco di nome LeChuck e tra i buoni un aspirante pirata chiamato Guybrush Threepwood.

monkey island glad to be dead

Ai tempi dell’Apple II, il sottoscritto e altri fortunati possessori di un Apple IIgs (di cui uno si faceva chiamare non a caso Guybrush Threepwood) realizzammo una demo fatta per stare in un floppy da 800K dell’introduzione del primissimo capito dell’avventura di Guybrush Threepwood, composta dalla sigla, i titoli animati e una specie di scena in cui alla fine veniva mitragliato il CEO della Sierra On-line, la casa concorrente della Lucasarts. Il demo fu spedito alla Lucas e dopo mesi ricevemmo una lettera con dei ringraziamenti e un poster di Monkey Island in regalo.
Dalla demo, qualcuno ha estratto la musica dell’ultima parte: è convertita in mp3 e scaricabile qui.
Con la vendita della Lucas alla Disney era quasi inevitabile che tutti i fronzoli venissero tagliati; che farsene di una divisione che c’è già?

RON GILBERT — Tra i tweet di Ron Gilbert, il celebre geniale inventore delle avventure della Lucas (ricordiamo Maniac Mansion ad esempio), si legge un pò di sarcasmo e un pò di punzecchiate alla decisione della Disney (ma anche a quella della Lucas per precedenti decisioni sulle proprietà intellettuali di quei giochi), tanto da dire che se mai dovesse succedere di rientrare in possesso delle IP di Monkey Island (che avendo creato, avrebbe dovuto possedere, da qui il sarcasmo verso la stessa Lucasarts), farebbe subito un Monkey Island Cart Racing game e non un’avventura… Gilbert ha appena rilasciato un bellissimo gioco chiamato The Cave (anche se non in italiano) e ora sta lavorando su di un gioco stile bejeweled per i tablet.

LA TELLTALE GAMES — Recentemente comunque sono state rilasciate le Tales of Monkey Island da parte della Telltale Games, una software house che, per licenza della Lucas, ha prodotto 5 capitoli del seguito di Monkey Island, sfortunatamente non localizzate; visto il deludente successo worldwide, probabilmente la localizzazione non avverrà mai.
Telltales per ora non sa esprimersi su che cosa cambierà con il passaggio dei diritti di Monkey Island dalla Lucas alla Disney; il forum è per ora riempito da tante domande e futuristiche supposizioni da bar da parte dei fan.

LA VOCE DEI FAN — Ovviamente i fan vorrebbero un reprise di Monkey Island ogni anno; per loro qualunque speranza non è vana e viene coltivata ed esasperata appena possibile, che sia Telltale, Gilbert o la stessa Lucas a licenziare il prodotto ad altri. Certo, non si vuole avere un “Mickey Island”, ma quello che direi con convinzione è di non dar nulla in mano ad Electronic Arts, visto l’esordio di Sim Shitty (SimCity) 2013, i cui forum continuano ad avere centinaia di pagine piene di persone che perdono le proprie città, o come al sottoscritto, di vedersi apparire la città di … un altro (che ho ovviamente subito depredato nel buon stile di Guybrush Threepwood, temibile pirata!).

Qualcosa è sbagliato in Apple… qualcosa è giusto in Apple.

Negli ultimi anni il profitto netto generato dalla business unit di iPhone ha raggiunto quasi il 50% di tutto l’utile Apple.

Presentando iPhone, Jobs disse che ad Apple bastava il 5% di un mercato enorme come quello dei Cellulari per cambiare il futuro dell’azienda. A quel tempo Apple aveva già stupito il mondo con l’iPod: con iPhone ha stupito ancora di più.

LA APPLE DI TIM COOK – Apple di Tim Cook ora sta affrontando un “nuovo” mercato. C’è Android e Google che finalmente, dopo eterni tentativi, ha sul mercato qualcosa di decente (via Samsung comunque e non direttamente), ma si continuano a leggere report sempre più confusi su chi lo ha più lungo. A sentire Google, sembra che il marketplace di Google Play vada già meglio di quello di Apple iTunes, ma poi altri report “neutrali” danno dati diversi. Larry Page ha smesso di twittare il numero di attivazioni di Android dopo che da 50 a 500 milioni qualuno gli ha fatto notare che non si devono contare le attivazioni per device (10 ripetute valevano 10) ma per utente (che guarda caso ora è il dato che Google usa per misura Google Play).  E a 10 anni di distanza Google ancora fa soldi solo da un solo e unico modello di business, la Search (90% delle Revenues per il Q2-2012, e il resto del 10% è… Motorola!).

Ma Apple è cambiata. Ora vuole pagare dividenti ai proprio azionisti (urrà, direi!), ha una concorrenza mai vista, ha sostituito Microsoft con Google nella guerra del PC vs Apple, ma la prima sta tornando (forse) e soprattutto Apple continua a mantenere “fede” alla sua politica di prezzi alti a dispetto di un intero mercato di spettatori convinti (ad oggi senza ragione) del contrario.

LE COSE SBAGLIATE DI APPLE – Ma gli spettatori non posso che notare cose “sbagliate”.

BAD 1 – Gli utenti oggi sono testimoni dell’uscita dell’iPad v4 e fino ad un’ora prima a nessuno veniva bloccata la vendita dell’iPad v3 ora fuori listino e Apple nemmeno parla di un “rebate” o un coupon code per questi ignari (e vittime) acquirenti; traditi aggiungerei.

BAD 2 – C’è un Safari 6.0.1 sul MacOS (con molti problemi e un Web Inspector peggiorato) e su iOS ancora non si vede; su iOS c’è ancora la versione in cui la URL bar non fa le ricerche e dell’update non si vede nulla (Apple testarda).

BAD 3 – Le Mappe di Apple? Per fortuna c’erano Applicazioni esterne per girare e trovare i Negozi a New York City. Le Google Maps via Web? Impossibili da usare e frustranti. Ma devono essere per forza solo questi 2 player a fare le cose?

BAD 4 – Viene annunciato un iMac, ma acquistabile solo tra 2 o 3 mesi, intanto annunciano specifiche, ma il prodotto “non s’ha da fare”, poichè prima han bisogno di produrre più iPad e iPhone.

Già, a proposito di iPhones e iPad.

Bastano 35 ore per mandare in “2 to 4 weeks” di attesa la disponibilità dell’iPad Mini 16GB. Il messaggio sembra “li hanno venduti tutti, che bravi”, ma qualcuno legge “ne hanno prodotti pochi”, mentre gli analisti capiscono che significa “non siete in gradi di produrre più di così”.

BAD 4 – E sembra proprio che gli analisti abbiano ragione. Al Q4 e Q3 del 2011 e al Q2 e Q3 del 2012 Apple lamenta un problema di “unità consegnabili”. Ne fan poche o si sono affidati troppo alla taiwanese Foxcomm e alle sue fabbriche in Cina? Perchè non ci credo che li vendano tutti e che siano contenti visto che in borsa, ogni volta, vengono invece castigati. E le fabbriche annunciate in Brasile avranno effetto per il 2013.

BAD 5 – Ma è peggio, se andate all’Apple Store più prestigioso in USA, quello in 5th Av. a New York City, scoprirete che negli ultimi 7 giorni non ci sono iPhone 5 da acquistare perchè… esauriti! ma nemmeno i nuovi iPod, in arrivo, e del mini Mac, bè, o arrivate 2 giorni dopo l’annuncio o non ne trovate. Ah, ovviamente trovate gli iPad 3 fino a 1 minuto dall’uscita del 4, quelli non si trattengono dal venderveli.

BAD 6 – Nello stesso momento in cui tutti questi aspetti si accavallano, Apple aumenta il prezzo minimo delle Apps da 0,79 a 0,89€. Immagino non ci sia un “declino” di acquisti nelle Apps più economiche e certo questa manovra porterà in Apple un aumento dal 3 al 5% delle revenues dalle Apps. E’ una manovra che tenta di arginare la situazione dei prossimi Quarter o era prevista da tempo?

Qualcosa di giusto in Apple, sono i Numeri. Date un occhio ad un pò di numeri sulle Apps.

Source: Fortune/CNN Reports, Dismito, Google and Apple Keynotes

  • Year 2010 Apps disponibili, Apple:Google rapporto 6:1
  • Year 2011 Apps disponibili, Apple:Google rapporto 8:1
  • 2011: circa il 15% delle Apps Apple scaricate sono a pagamento; dal 11,6% del 2010;
  • 2011: se in italia le top 50 vengono scaricate 2000 volte, in USA le top 50 sono scaricate 25,000 volte.
  • 2011: il costo medio per Apps è di 1,06€;
  • 2012: Apple ha dato ad oggi 6,5b$ agli sviluppatori; Google molto meno di 1b$;
  • Q3 2012: Apple fattura 1,8b di dollari a Quarter dalle Apps.

Insomma, benché non stia succedendo nessuna delle catastrofi augurate dagli Androidiani (anzi, lato loro la frammentazione dell’OS sta peggiorando a discapito di qualità, revenues e solidità delle apps), visto uno Store di Amazon semi deserto (e quando esce qualcosa, c’è già per Apple) e quello di Microsoft peggio del deserto del Gobi, se non fosse per gli stupendi MacBook Pro sul mercato, un ottimo Mini Mac e un iPad mini molto attraente, l’hype che circonda Apple non può fare altro che metterla sempre più in difficoltà. Il mercato è stato abituato alle “rivoluzioni” dell’iPod, di iPhone e anche di iPad aggiungerei che ora si aspetta davvero tanto da Apple.

E allora per i prossimi mesi, che parlino le Net Revenue! e che si sveglino a spostare la produzione fuori dalla Cina! E poi siamo pronti per la prossima Next Big Thing.

Per ora da Google e Microsoft non arriva nulla di nuovo, su questo siamo tranquilli 🙂 Anzi forse più cookie e tracking di quello che facciamo su Internet.

 

 

Link Building e Black SEO, 3 milioni di URL, 30 Bad Bot e 3000 IP Proxy — un caso vero

In questi ultimi anni, uno dei siti che manteniamo per un cliente particolare è un sito di bookmarking. Esso permette di caricare bookmark dal proprio Browser o aggiungere Url nei preferiti e condividerle con il pubblico, trovare siti collegati e informazioni varie. Il servizio è stato sviluppato per il mercato in lingua Inglese. Fin qui nulla di speciale.

BLACK SEO, WHITE SEO, SPAM SEO — Una delle caratteristiche del sito di bookmarking è stato quello, per sua fortuna o sfortuna, di essere inserito nel corso degli anni in una marea di siti di “Submit gratuiti” operati da società di white (buone) e black (cattive) SEO. Esattamente quelle pagine che non usereste mai per un vostro sito.

Come sapete creare LINK verso il proprio sito è alla base della visibilità nei risultati di ricerca di Gogol (ndr. Google), ovvero più hai link e più sei bello. Benchè Google ne dica, se non avete link verso il vostro sito, non esistete (salvo siate nelle segretissime White List di Google come “sito indispensabile” o “brand affermato non penalizzabile”).

Un sito di bookmark è quindi perfetto per una invasione di “link” da parte dei “black” SEO. Queste società creano pagine di FREE submit (tipo questa pagina, una delle tante osservate, backlinks.auto-im.com/freepack/free.php ), promettendo in 1 click fino a 200,000 backlink. L’abilità di questi SEO è quella di trovare un sistema per inserire link nei siti di altri e tali da poter replicare l’inserimento in modo automatico e continuativo nel tempo.

Una volta che il FREE Submit è sviluppato, gli stessi SEO sviluppano anche sistemi di verifica del vostro link per evitare che sia cancellato. Questi tools si fingono utenti con tecniche più o meno legittime e come un robot vengono a vedere se il link è presente nelle pagine del sito di Bookmark. Siti come Seostats o Seotools, ad esempio, per ogni URL che inserite nel form di verifica, un fastidioso robot viene sulle pagine del bookmark a controllare la presenza del link.

Ma la cosa non si limita a servizi online. Alcuni software fatti per inserire migliaia di articoli o link in altrettanti migliaia di siti (ovviamente non hanno nessun accordo con nessun sito) semplicemente si fingono utenti e inviano i dati attraverso dei robot e ne gestiscono pure la verifica successiva e continuativa. Ad esempio, nel 2009 un (in)famoso software chiamato Autoclick Profits vendeva per 149$ il sogno di enormi guadagni con un click. Scaricando il software si accedeva ad un tool per inserire migliaia di articoli o link in migliaia di siti online (tra cui il sito di bookmark), e gli stessi link potevano automaticamente trasformarsi in URL compatibili con sistemi di affiliazione come ClickBank grazie al quale si guadagna cliccando.

 

UNA MAREA DI URL — Sta di fatto che con il passare degli anni, il sito di bookmark raccolse i seguenti dati.

Periodo Gennaio 2010- Dicembre 2011

28,186 Url Web .it — inviati in modo “non naturale”;

2,976,560 Url Web in totale inviati in modo “non naturale”;

29 “bad bots” — sistemi malevolenti per l’invio di url;

2976 “Proxy” — utilizzati per inviare i dati;

1 tentativo di SQL Injection;

1 virus.

E le attività dei SEO non sono diminuite negli ultimi 7 mesi del 2012.

Poichè il sito di bookmarking non ha scopi di link-building o “black” SEO e fintanto che le URL inserite non vìolano  regole stabilite o di SPAM, nulla è stato fatto per evitare tale attività (tranne per i bot ostili e non tollerabili).

 

UN COSTO DI GESTIONE OLTRE BUDGET — Ma qualcosa non va. Questo è un solo sito di “pagerank 3” come milioni di altri. Se una attività di black seo permette di creare 3 milioni di link (2 univoci più o meno) in 3 anni di tempo, quanto vale questa attività su larga scala? Sicuramente parecchio in quanto ad ogni cambiamento delle pagine del sito di bookmarking, i BOT e gli SPIDER si adeguavano regolarmente.

Chi ci tutela? E’ possibile che si debba pagare per lo SPAM link di migliaia di altri siti? Poichè un LINK-IN è alla base della visibilità in Google, il mondo oggi paga questa decisione e non ottiene nulla in cambio da chi ne gode.

 

ARRIVA LA GOOGLE PENGUIN UPDATE, I COSTI AUMENTANO! — Con Novembre 2011, improvvisamente il costo “tecnologico” e di “gestione” di questo problema aumenta esponenzialmente.

Poichè i possessori dei siti che venivano inseriti erano spesso IGNARI delle tecniche di black seo che a loro insaputa avevano assunto e pagato anni prima come consulenza da parte di abili “società di posizionamento”, essi iniziarono a sentirsi dire da altrettanti consulenti che “un link-in sbagliato può punire”. Ovviamente tali voci non nacquero a caso; se i link-in non possono di certo penalizzare (al massimo non contano nulla), nessuno ne ha la certezza e il mondo si preoccupa per un cambiamento “epico” nelle regole del gioco.

Nel Marzo 2012 le voci prendono fondamento e Google annuncia PENGUIN e invia “mail” ai webmaster i cui siti sono linkati da url “non spontanee”. Toh, guarda, e ora che faranno quei 2,000,000 di webmaster? Poichè non esiste una regolare iscrizione per avere inserito un link nel sito di Bookmarking, per i webmaster è altrettanto impossibile rimuoverli.

Da Marzo 2012 le richieste a bookmark si trasformarono in una nuova tipologia di richiesta: le mail chiedevano la rimozione di link che ritenevano “impropriamente” inseriti nel sito, alcuni addirittura ipotizzando un uso illegittimo del link inserito senza la loro autorizzazione! Altri, sostenuti da un improbabile Google-zorro alla tutela dei webmaster, minacciarono di denunciare il sito a Google se il link non veniva rimosso prontamente. Inoltre, poichè questi webmaster (o agenzie di siti quando i siti erano “famosi”) dovevano mandare queste mail in quantità, non facevano spesso riferimento a URL o dati precisi e minacciavano IP e URL presto penalizzate se non si cooperava e altre fantomatiche… balle da web.

“[Editato per la Privacy] This link needs to be removed with immediate effect.

Google has been in contact with us and asked us to remove this unnatural link as it will penalise both the XXXXX.co.uk website as well as your website.
Google have also asked us to inform them of any websites that are not cooperative in this request, and to provide them with the domains and IP addresses of sites that do not comply with the request.”

 

Insomma, da ingenuo sito vittima di “abusi” il sito si trovò pure “beffato” e “accusato”.

Una delle comunicazioni del cliente ad un certo punto fu “sarebbe bello dire in faccia a questi webmaster come e chi gli ha inserito il link e di smetterla di fare richieste offensive visto che è certo che hanno usato società SEO poco attente”. Da questa osservazione, nasce di fatto anche questo post: di fronte all’immensa lista di URL che abbiamo visto e alle tecniche usate non si poteva far finta di nulla.

Il “removal di bad links” è oggi una delle questioni più traumatiche dopo l’introduzione di PENGUIN di Google, un algoritmo di controllo dei link che tenta di diminuire proprio il problema di link “non naturali”.

Il punto è che il Web fa intendere che un “bad link” significa un “bad website” e pertanto il sito che ospita link finti viene minacciato di “penalizzazione” (come si vede dalla mail di quel webmaster).

Per fortuna Google è molto più arguto e un bad link è in realtà “un link non naturale” e i siti che li ospitano — ignari o no che siano — “non subiscono nessuna penalizzazione“. Se ci sono penalizzazioni, sono sempre legate a interventi extra-algoritmici o gravi violazioni di contenuto (come sempre è stato fatto da parte di Gogol).

Ad oggi il sito di bookmarking continua a fare il suo lavoro, le tecniche di protezione dallo SPAM maligno non sono concluse, ma sono state implementate tecniche molto più adatte di quelle di anni fa e non so proprio come potrebbero fare 2,000,000 di webmaster se un giorno Google dovesse davvero penalizzarli.

 

da Leopard a MacOs Mountain Lion; che Safari ragazzi…!

MacOs Leopard è stato, secondo me, uno dei migliori aggiornamenti, se non IL migliore Mac OS mai installato sui miei Mac.

La spinning Wheel di Excel ci perseguita!

 

Non solo le performance erano strabilianti, ma l’intero Core del sistema era stato riscritto per sfruttare finalmente a pieno i 64 bit delle macchine fino ad ogni processo possibile. Ad esempio, se volevate stampare in PDF da Safari (e non fate quella faccia pensando a Safari!), il Print to PDF integrato di Apple (non serve quel dinosauro sempre-più-inutile-Adobe per fortuna), il processo che Safari lanciava per la Stampa e quello successivo per il Rendering del documento da HTML a PDF erano tutti regolarmente a 64 bit.

 

MACOS LION, LA CADUTA — Poi è arrivato Lion. Un Leone è “meglio” di un Leopardo: il Leone è il Re della foresta. Ma qualcosa non ha funzionato. Intanto Lion esce dopo gli anni peggiori di Jobs, il progetto è tutto in mano al nuovo direttore dei sistemi Operativi che è sicuramente distratto da iOs, il sistema dell’iPhone. Quest’ultimo sta dando così tanti numeri (positivi) per Apple, che dedicarsi a iOS è un attimino più importante di MacOS, soprattutto perchè Android arriva per la sua prima volta a una versione decente (la 4.0).

Pertanto arriva Lion, sostituisce Leopard e la prima cosa che fa è stabilire che il sistema di esecuzione dei processi non è più fatto “ognuno per sè”, ma “tutto dipende dal lui”. Pertanto Safari perde il suo motore di rendering per le pagine Web che Lion rende esterno ed eseguibile da qualunque parte lo si voglia chiamare. In questo modo se avete un’altra applicazione che vuole gestire un documento Web, questa può farlo con la stessa completezza di Safari (sia Apple Mail, iWorks o anche Excel, Autocad, un gioco, iTunes, etc); geniale, ma se usate al 99% la sola applicazione Safari, in Leopard i processi di rendering erano tutti suoi, ora invece sono condivisi e in attesa che anche qualcun altro li voglia usare, diminuendone la potenza nominale a disposizione.

Fin qui tutto già collaudato: è come in iOs. Ma il Sistema Operativo, che ora gestisce il processo, può anche bloccarlo con “urgenza” se necessario (es. c’è poca Ram, l’hard disk è molto impegnato altrove, etc). Prima Safari si arrangiava da solo, ora Safari non fa altro che delegare e sperare che i processi esterni siano sempre veloci. Ma non è così. Quando si vuole stampare documenti Web in PDF, Safari chiede al processo di Rendering la pagina Web; poi chiede al processo PDF la trasformazione da Web a PDF; prima tutti e due i processi erano in Safari, con LION non più.

In questo modo le operazioni di stampa e Rendering RIPETUTE rispondevano dal 20% al 50% più lentamente di Leopard. Più il Mac era vecchio e peggio pesava la concorrenza dei processi.

 

MACOS LION E IL “WHITE PAGE BUG” DI SAFARI — Nel giro di pochissimo tempo, la produttività del mio Mac con LION era diventata la metà dei tempi di Leopard. Safari spesso “attendeva” per lunghi attimi che i processi si liberassero dallo “swap” dell’hard disk gestito del Sistema Operativo. Se iOs è abbastanza protetto e generalmente l’utente fa una cosa alla volta in un iPad o iPhone, MacOS non è altrettano “mono processo” e quando il processo esterno di Rendering crashava per qualche motivo, TUTTE le pagine che usavo in Safari tornavano come se fossero state appena aperte (chiamato da Apple come il “blank page” bug), e sottolineo TUTTE, non solo quella che aveva causato il crash (alla faccia dei processi separati!). Ma ancora più subdolo era che le pagine in cui era stata effettuata una login tramite sessioni AJAX, ad esempio Facebook, esse rimanevano collegate all’utente, ma la pagina Web mostrava la pagina nuova di login!

Ad un certo punto della sua vita, il mio Safari poteva aprire 2 nuove finestre, una andava su Facebook e una su Google Plus, loggava su entrambe, e quando Google Plus faceva partire il processo (esterno) di rendering per Flash, questo, impegnando per qualche secondo l’hard disk, mi permetteva di farlo crashare (semplicemente chiudendo la finestra!), e Safari, crashando, generava un LOGOUT non solo da Google Plus (causa del crash per colpa di Flash), ma anche da Facebook (pagina diversa e regolarmente connessa), senza che nessuno avesse cliccato “esci da facebook” o “esci da gplus”. Infatti le sessioni di Facebook non erano realmente chiuse e chiunque avesse fatto “Refresh” di nuovo  avrebbe trovato il mio Profilo aperto e non la login!

Con LION ci sono state parecchie update di Safari, ma nessuna ha migliorato questo problema, anche quando Apple pubblicamente fece una update dedicata. Ovviamente era solo “diminuito” il bug, ma era semplice riprodurle e lasciare pagine loggate apparentemente sloggate con la tecnica di flash.

In un cyber cafè, faccio loggare un utente su Facebook, crasho il sistema con un Applescript e Flash e se tu utente te ne vai scocciato, vado lì, reloado Safari e sono sul tuo Profilo di Facebook.

 

I CLOUD, U CLOUD WE ALL CLAIM FOR A BETTER MACOS — Ma i problemi non erano solo di Safari. L’introduzione di iCloud in LION è stata praticamente impercettibile lato utente, mastodontica lato performance; per portare il cancello di iCloud, LION è diventato un insieme di processi e controlli di rete. Per muovere una connessione, non aspettava i tempi morti, ma al boot tutto e tutti dovevano collegarsi al mondo il prima possibile.

La conclusione? LION è stato un MacOS che ha disimparato a fare il lavoro “vero” per iniziare a fare mille cose di iOs, inutili. Se la rotella di attesa di Excel era diventata meno frequente, con LION la rotella di attesa di Excel appariva più di ogni altra cosa, e la gestione dei FONT, probabilmente delegata al sistema operativo rallentava sempre di più l’utilizzo di ogni applicazione che usasse font in modo estensivo.

 

MACBOOK RETINA SAVE ME! — La conclusione è stata che per continuare a lavorare con LION, dovevo cambiare Mac… non con un Windows, quello no, ma con un nuovo Mac. I difetti di LION dovevano essere corretti dalla potenza di un nuovo Mac. E così è stato.

Il Macbook Retina Display ha vissuto 1 mese con LION, rendendolo veloce come il Leopard di 4 anni fa! Un bel piacere, ma anche rabbia. Insomma, il boot in 2 secondi, lo shutdown istantaneo di Leopard erano tornati e non erano stati miraggi solo di un tempo che fu.

 

MOUNTAIN LION, ORA SI RAGIONA — Oggi è arrivato Mountain Lion. Oggi per modo di dire, è un pò che gira. Negli anni bui di LION temevo per il peggio: che Apple avesse perso la via accecata da iOS e dalla concorrenza (di Android), che nessuno più in Apple vedeva le imperfezioni di programmatori pigri e quindi processi o sistemi fatti male rimanevano tali e nessuno li chiamava alla Domenica mattina per una ramanzina (vedi Jobs e l’icona di Google Mail sull’iPhone 1), che sarebbe sempre stato peggio visto che il bug di SAFARI non è mai stato fixato realmente, così come altri problemi fixati solo dopo moltissimi mesi (se non anni per il flicker al nero di alcuni schermi del Macbook Pro unibody).

Oggi c’è Mountain Lion. Il rendering è tornato veloce, il processo esterno non è più “crashabile” con facilità, e se muore, non genera un “blank page bug” di tutte le finestre aperte di Safari che ora è alla versione 6.0; certo è più difficile rallentare un Mac nuovo per poter causare il problema, ma la prova del fuoco è un Excel che ora gira senza rotella!

Speriamo Apple non voglia fare di MacOS un iOS; magari mi sbaglio, ma io vorrei lavorare con questo Mac e non fare Gesture dalla mattina alla sera o stare collegato alla iCloud 24h su 24. Se magari ogni tanto pensasse alle applicazioni “classiche”, saremmo tutti un pò più operativi. Un iWorks come quello che abbiamo non serve a nessuno.

Ah… con LION nessuna applicazione riusciva ad aprirmi 2 GB di file XML, nemmeno Oxygen o BBEdit (quest’ultimo dava un terribile messaggio di altri tempi “OUT OF MEMORY”); ora invece riesco ad aprirlo e anche a consultarlo eppure è cambiato solo il Sistema Operativo.

SAFARI 6.0, UN WEB MIGLIORE?  — E con il Retina Display e qualche sito con grafica Retina, il browsing di Safari 6.0 è indubbiamente migliore di Chrome o Firefox. Tra l’altro Chrome continua a rimanere a 32bit quando oramai Safari è a 64bit da parecchi anni sul Mac.

UPDATE 1 AGo 2012: Stanotte Chrome si è aggiornato alla versione 21.0.1180.57 con RETINA DISPLAY (anche se ancora a 32 bit) e ora è un bel vedere anche con Chrome e non solo con Safari 6.

Quindi, viva Safari 6.0!

 

P.S. E’ con piacere che racconto di questo bug di Safari 6.0! Ma come? Di già un bug? eh sì…

SAFARI 6.0, SCROLL FREEZING BUG — Aprite il Develop Menu di Safari 6.0, attivate il debug Javascript e dite a Safari di fare stopword all’errore se ne capitasse uno, navigate fino a quando (questione di pochi click…) un sito web qualunque vi dà un errore (o fate voi una pagina con un errore), il debugger si attiverà e metterà in pausa il sito per farvi debuggare l’errore. Se non togliete la PAUSA del debug, tutte le altre pagine web che aprirete, userete, navigherete, nuove o già aperte non potranno più … scrollare! EH sì, viva Safari 6.0 — attendiamo fix 😀

Vabbuò, viva iOS!

 

Dominio vücumprà e Gógól.666 presto nelle vostre url

IL PRIVILEGIO DI AVERE UN DOMINIO .COM – All’inizio dei tempi, era un lusso e un privilegio avere il dominio .com. Ma registrarlo significava un “impegno” con il mondo al quale si annunciava di essere, appunto, “mondiali”. Per questo motivo, qualche cliente preferiva non volere il .com e avere solo un .it, con l’idea di dire “noi siamo piccolini”. E giammai si registrava un .net; quelli erano domini per i “network” di servizi, di aziende, di idee, tutte cose che non interessavano a clienti retailer o siti istituzionali. Questo all’inizio dei tempi. Oggi è un’altra storia.

 

ÀÈÍÓUE E IL DOMINIO VIENE QUÁ.it — Tra poco potrete avere dei domini di dubbia leggibilità, nomi con accenti e dieresi o umlaut, potrete registrare finalmente vabbuó.it con la ó come si deve, ci potrà essere un ecommerce che vende online con il nome di vucumprà.it ma anche domini assurdi tipo àèìòù.it oppure peggio gögol.it o utilizzare qualunque forma di confusione vi suggerisca la vostra fantasia.

Ovviamente non posso che pensare alle risate di quando in un FORM di registrazione email inserirete la vostra mail “alessandro@tacàdènt.it” poichè il 99% dei form di oggi scartano quel tipo di email, o peggio la salvano come tacadent.it creando beffa e danno in un colpo solo. Peggio ancora se vi verrà l’idea di iniziare ad usare i caratteri anche nel nome come nicolò@cadréga.it, una mail che per un form di iscrizione di oggi può produrre le conseguenze del sovrastimato bug dell’anno 2K.

 

CHI CONTROLLA IL DOMAIN SPAM? — Con questa novità per i domini, la voglia di inventare nuovi suffissi sembra degenerata.Non è una novità, dal dominio .TV in poi, i domini sono diventati sempre di più fuffa nel significato. É vero che per qualcuno i nuovi domini saranno utili e potrete dire che finalmente qualcuno sembra aver spiegato agli Yankee che Internet non è solo Americano (sì boys, ci sono anche le accentate nel mondo!), ma avete in mente quante nuove email false potranno arrivarvi e voi dovrete usare la lente di ingrandimento per capire se è vera o falsa? Perchè, è vero, gmail ne intercetta parecchie (ma non altrettanto yahoo mail, sveglia!), ma una info@bancadellagrandesïena.it sarà una mail Phishing pronta a portarvi altrove e a chiedervi dati, soldi e figli senza che voi ve ne accorgiate.

 

NON BASTA, ARRIVA PURE GOGOL.DEVIL — E poi, invece, han pensato almeno a tutelare quelli che invece dovrebbero avere il dominio con le accentate di diritto? Un sito (reale) come www.tuscos.it, di diritto dovrebbe avere l’equivalente milanese www.tuscòus.it e www.ciapachi.it dovrebbe avere www.ciapàchì.it, ma ovviamente i domini sono fatti per i banchetti di fantozzi: chi primo arriva, arraffa!

E la roba da arraffare non finsce qui!

No, perchè forse non lo sapete, ma si è appena conclusa (o si sta concludendo) un'”asta” internazionale che peggiorerà ancora di più le cose. Chi voleva (con tanti soldi), poteva proporre un proprio nuovo suffisso e aggiudicarsene i diritti d’uso. Sì avete capito bene.

Vi piace un dominio con il suffisso “.warez”? Va bene, è vostro. Andate in asta, decidete di pagare da un MINIMO 185,000$ in su e se vincete, è vostro. Dopodiche potrete usarlo per voi, per la vostra azienda o rivenderlo agli smanettoni di internet. Per tali geniali “nuovi” suffissi, i “big” si sono subito messi a spendere migliaia di dollari e il primo tra gli spendaccioni è il solito Google (o Gógol alla italo-berlusconiana) con i suoi 20 milioni di dollari e — lasciatemelo dire — strano che non abbia preso il dominio che gli si addice di più di tutti, il .666 (ndr. i numeri non erano nella lista dei suffissi, idea per il prossimo giro?).

Pertanto fra un pò avrete domini come www.perchè.wiki oppure andiamo.amagnà.citta e così via. I primi a gioire saranno i “phisher” (falsificatori di messaggi autentici con destinazione falsata), con migliaia di nuove alternative a loro disposizione per mandarvi spam e fare siti cloni www.ebay.ebay oppure www.ebây.it — entrambi di chi saranno?

 

TROPPE INFORMAZIONI, LA GIOIA DI GOOGLE — Con tutti questi nuovi domini, a e i o u .book .google .shop .vieniqui vucumprà.la, farvi collegare il più velocemente possibile al contenuto giusto sarà sempre più un compito di altri, tipo qualcuno che sappia gestire le informazioni per voi.

Almeno ora se pensate al sito della Lego, scrivete Lego.com; non vi serve Google “in mezzo” che fa l’arbitraggiatore di informazione (mostrando ogni tanto quello che preferisce). Invece domani come sarà? Volete un libro da Amazon per il kindle phone? bene, Amazon.com ma anche libri.kindle oppure kindle.amazon?

E peggio. Pensate ai siti corporate e ai siti di produttori mondiali. Asus! Philips! Sony! Per tutti questi già oggi è impossibile trovare le informazioni; domani saranno solo e sempre su sony.com?  Domani magari mettono le Tv sotto products-sony.hitech oppure sony.shop per lo Store, e anche sony-games.play per i giochi… Pertanto, i 20 milioni di dollari spesi dal motore di ricerca di Mountain View non sono una spesa, ma un investimento e l’aumentare della confusione della reperibilità delle informazioni è proporzionale a quanto dipenderete da Google. E Babelfish non c’è più, chi ci libererà da Google?

 

ASIA, ÜBER ALLES — Infine, non ci interessa molto, ma fa decidere spesso le strategie recenti delle aziende Occidentali: oggi i “big” temono di perdere il treno per l’Asia, chi fa tardi, prende di meno da un mercato enorme. E allora perchè non accontentarli? Il più grande gioco online di Ruolo, World of Warcraft sta preparando da più di 1 anno un’espansione completamente dal sapore Orientale, Apple sta abbracciando la Cina come il panda un albero, quindi perchè i gestori di domini non dovrebbero produrre 10 (sono cauto) volte tanto il fatturato permettendo accentate, dieresi e… ideogrammi? Sì, anche ideogrammi.

E quindi, se prima arriverete comunque su www.alibaba.com, domani avrete 10 milioni di domini in più con ideogrammi come http://파일을 찾을 수 없음 che non potremo certo digitare e visitare. Ah no, che stupido… Andremo su Gógól che sarà l’unico sistema per trovare, leggere e navigare siti di domini e contenuti di lingua diversa dalla nostra e magari anche di contenuti della nostra lingua, perchè un .book o un .shop o un .store non sono sufficienti per dirci che fa cosa.

 

 

Breaking the 1 year silence — [Solved] WordPress: Is its parent directory writable by the server?

Poichè alcuni sperano che io faccia un post ad un anno esatto di distanza, in modo da celebrare un anno di blog morto, ho deciso invece di postare pochi giorni prima ed evitare pertanto di dare ragione ai conformismi.

Dopo avere installato circa centinaia di siti e blog, voglio aiutare tutti quelli che hanno problemi di permessi di upload con wordpress con questa veloce guida.

Se avete avuto problemi con questo messaggio di errore:

Unable to create directory /wp-content/uploads/2012/02.
Is its parent directory writable by the server?

Quando avete problemi di permessi di Upload con WordPress vi dice che non può scrivere, non dovete buttarvi a pesce lesso su Gogol (Google per i più, ma da noi è stato battezzato Gogol oramai) e scoprire che l’unica soluzione è fare:

[bad idea] chmod 0777 wp-content/uploads/

poichè in questo modo state dicendo al server che chiunque acceda al vostro spazio web può scrivere in quella directory, una scelta di immensa gravità di sicurezza (ovvero se un plugin ha un bug o la versione di wordpress si scopre essere bucabile, sicuramente vi troverete un injection nel vostro sito/blog).

Il motivo per cui i permessi non funzionano con le installazioni di default sono da ricercare nel fatto che probabilmente avere caricato WordPress su di un server utilizzando un utente che non è quello usato dal Web Server, il quale è l’unico utente (oltre a root) che dovrebbe poter scrivere.

Pertanto, la procedura è la seguente.

Riducete al minimo l’accesso alle directory. Per wordpress potete usare quello suggerito da WordPress.org, ovvero

[step 1] chmod 0755 wp-content/uploads/

e poi dovete assegnare la directory che avete creato allo stesso utente del vostro apache web server e al gruppo a cui appartiene l’utente.

Per sapere a quale utente assegnare le cartelle del blog, se potete accedere all’apache.conf, cercate la linea che indica lo user in uso con questo comando.

sudo ps xe  | grep apache2

e leggerete qualcosa come:

 27648 ?        Ss     0:04 /usr/sbin/apache2 -k start APACHE_PID_FILE=/var/run/apache2.pid PATH=/usr/local/bin:/usr/bin:/bin LANG=C APACHE_RUN_GROUP=www-data APACHE_RUN_USER=www-data

dove leggete che lo user e il gruppo sono www-data e www-data; quindi andate nel vostro blog e fate:

[step 2] chown  -R www-data.www-data wp-content/uploads/

in questo modo non dovrete fare quell’orribile 777.

Se il ps xe non vi dà risultati, allora potete leggere l’apache.conf e usare le informazioni là inserite come User e Group, ma nei moderni OS le informazioni sono trasferite negli script di startup del web server e non più nell’apache.conf come variabile ${APACHE_RUN_USER}. Potete localizzare il vostro apache.conf velocemente scrivendo ad esempio:

apache2ctl -V

oppure httpd -V

e leggere la linea con

SERVER_CONFIG_FILE=

A presto.

 

Addendum per “An error occurred while updating … “.

Aggiungo una nota ad un errore che può apparire in fase di Aggiornamento anche dopo che tutti i settings e permessi sono corretti.

Se tentate di aggiornare un plug-in e leggere un errore del tipo

An error occurred while updating [PlugIn Name Here]: Could not create directory. […]

allora controllate che non abbiate attivato un plug in di security come AskApache Password Protect, ad esempio, o altri plug-in che lavorano su Apache mod_security.

In quei casi dovete disabilitare il Plugin di WordPress o mod_security (temporaneamente) per risolvere il problema.

Non vi consigli di disabilitare mod_security con

[bad idea] a2dismod mod-security2

poichè le stringhe di configurazione del modulo nella configurazione del sito o delle directory tramite htaccess rimangono e diventano “errori” per Apache e il riavvio del WebServer genera un downtime grave, ma piuttosto vi consiglio di inserire (o modificare l’htaccess per la wp-content/upgrade/ in modo da disabilitarlo, inserendo:

<IfModule mod_security.c>

SecFilterEngine Off

</IfModule>

e questo non necessita di riavvio di Apache (se l’htaccess è abilitato).

Buon blog!

La Posta Prioritaria di Google? Ma per piacere…

Nell’intento di una nobile “caratteristica” aggiuntiva di Gmail, una localizzazione sfortunata dalla versione Inglese di Priority Inbox porta nella Gmail nostrana la “Posta Prioritaria” di Google, ovvero la possibilità di filtrare “meglio” i messaggi di posta non-spam.

A tutti, e penso pure ai responsabili marketing di Google più che altro, quando si pensa a “Posta Prioritaria”, viene in mente il servizio off-line di Poste Italiane con il quale il 50% delle lettere viene inviato da quando è stato introdotto. Un ottimo prodotto, direi anche.

E allora perchè chiamarla proprio “Posta Prioritaria“? Sapendo dell’esistenza del servizio di Poste Italiane, non era il caso di attenersi un pò di più alla traduzione “diretta” in Casella Prioritaria? Dopo tutto del servizio di Poste Italiane non ha nulla a che fare e svolge un compito completamente diverso.

Se c’è dell’affronto (competitivo?) da parte di Google a Poste Italiane, mi pare invece ci sia più che altro una gaffe di localizzazione e una scelta infelice, più nell’ottica di creare semplicemente confusione negli utenti che nel rendere minore l’importanza degli annunci di Google sul piano pratico.

Don’t be Evil… detto dal diavolo…

Ah, se non bastasse, qualcuno dica a Google che ci sono 7 marchi depositati per Posta Prioritaria da parte di Poste Italiane dal 2003 ad oggi.

L’Ipad, il media che sta tra Desktop e … Divano!

Indipendentemente da come lo si voglia posizionare, un tablet, un netbook, o semplicemente un nuovo media che sta tra il Desktop e il … Divano, l’iPad puo’ avere finezze e difetti, ma un merito lo ha, e tutto, di farmi riscoprire la lettura di Notizie e Riviste che “per colpa di” (anche se dal mio punto di vista e’ piu’ un “grazie a”) Internet avevo abbandonato a favore di un blog letto al volo ogni tanto, una home page di qualche Quotidiano online aperta velocemente e magari randomiche notizie cercate qua e la’ su siti vari.

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TV, GIORNALE, METEO, NOTIZIE TUTTE INSIEME DAL DIVANO – Invece ora posso tornare alla versione stampata di Time Magazine, letto forse 2 o 3 volte negli ultimi anni, ma sempre interessante, che con un veloce download e’ subito tra le mia mani. E poiche’ tutte le ricerche di mercato riportano come oggi la fruizione dei media stia cambiando e non da meno voglio uscire dal panel, “contemporaneamente” leggo l’iPad e guardo la televisione, mando una mail e guardo le statistiche di Analytics, per poi passare l’iPad a nipoti desiderosi di giocare al nuovo episodio di High School, ovviamete scaricabile direttamente dall’interno del gioco.

Un mix di media che ora si avvicina maggiormente alle mie esigenze. Le applicazioni dei quotidiani, dal Corriere a Time Magazine, dai Comics della Disney (da quanto non provate a leggere un Topolino? Ora potete farlo (ri)scoprire ai vostri figli con un semplice click) ai Marvel, da Bloomberg al Meteo, Comingsoon per i film, MacUser UK, riviste per Photoshop, visite virtuali a Musei di ogni dove (con guida vocale inclusa) e corsi veri e propri sono la risposta ad una fruizione discontinua e veloce che oramai mi perseguitava da anni e che le pagine cartacee non riuscivano piu’ a soddisfare per la semplice difficolta’ di … averle e poterle leggere in qualsiasi momento, e per la poca voglia di voler leggere un’intera edizione quando l’interesse era solo per pochi articoli.

Ora serve solo che il mix divenga popolare e che gli editori sappiano creare una nuova modalita’ di consultazione redditizia per loro e per i lettori (insomma, che non sia un cavalcare una moda).

PAY-PER-READ E ADVERTISING INTERATTIVO – Mi piacerebbe pagare anche solo i singoli articoli, magari centesimi, per evitare di leggere di notizie che non vorrei mai avere; se devo interagire con le pubblicita’, che non sia un layer sovrapposto alla prima pagina del quotidiano in attesa di un caricamento, o un Ads sullo stile di Youtube che si sovrappone fastidiosamente su quello che sto facendo, ma voglio poter accedere allo spot di una Lavatrice, guardarne le caratteristiche, trovare dove e’ venduta e magari ricevere in modalita’ push o via email altre informazioni.

Cosi’ come il media mix sta cambiando, anche la pubblicita’ dovrebbe farlo. Dopotutto stiamo usando device collegati alla rete (quasi) sempre; gli inserzionisti possono fare Marketing, Branding ma anche Infocommerce, dare un valore al marchio con uno spot appassionante, ma anche dare informazioni pratiche e collegarti ai siti di competenza, dare listini, piani tariffari, presentazioni, tutto partendo da uno spot digitale che, da fermo e statico di una volta, ora interagisce con te e ti chiede di “Girare il tuo iPad” per vederlo in azione. Entusiasmante.

cbr, cbz e PDF su iPad

Una delle prime cose che vi vengono per la mente quando avete tra le mani un iPad è quello di voler provare a leggere un paio di Libri in qualsiasi formato essi vi capitino sottomano.

Se avete un Pdf o se potete ridurre il vostro formato attuale in Pdf, l’applicazione migliore che potete installare oggi è di sicuro GoodReader for iPad.

GoodReader for iPad

Con GoodReader potete leggere PDF, PPT, DOC, XLS, TXT di complessa struttura nel modo più veloce possibile, avendo a disposizione una serie di opzioni da rendere questa iApp unica. Il vantaggio è che, oltre a poter individuare Pdf direttamente dall’interno dell’applicazione tramite Browsing, Url, File Sharing, etc, all’interno dello stesso iTunes vi apparirà una sezione in cui potrete semplicemente fare il drag&drop di file direttamente ed essi appariranno in GoodReader sull’iPad (o iPhone) come una normale operazione di Sync

GoodReader Sync Area in iTunes

GoodReader Sync Area in iTunes

Link di GoodReader su iTunes

  • Formati: PDF, DOC, PPT, TXT, Immagini, Audio e Video
  • Paid Apps

Cloud Readers for iPad

Formati: PDF, CBZ, CBR; Free App
Decisamente uno dei migliori anche per alcuni PDF molto complessi non sbaglia il rendering di alcuni font e menù di Libri o Fumetti. Per i .cbr e i .cbz ha il vantaggio che una volta copiati con iTunes NON ci sono conversioni da attendere una volta che lanciate l’applicazione. Li usa così come li copiate e pertanto sono istantaneamente disponibili.

cloud-reader-ipad-cbr

Cloud Readers, con la versione 1.03, introduce la compatibilità con i file .CBR e .CBZ, oltre al PDF già presente dalle prime versioni.

Un file .CBR è un formato compresso con RAR contenente una sequenza di file immagine o pdf da trattare in visualizzazione secondo la numerazione indicata in fase di creazione. Infatti potete decomprimerlo se usate RAR. Poichè è scomodo prendere tanti file singoli chiamati 01, 02, 03, nn e concatenarli assieme, è stato creato un formato compresso chiamato CBR per gestire tale necessità.

Il formato .CBZ è la stessa versione fatta con ZIP.

spiderman e sonya - on ipad

spiderman e sonya - on ipad

ComicPad for iPad

  • Formati: PDF, CBZ;
  • Free App

Se il vostro file è in formato PDF o CBZ, potete provare anche ComicPad, che è una FreeApp

Comic Zeal4 for iPad

  • Formati: PDF, CBZ, CBR, CBI
  • Paid Apps

Comic Zeal4 è un altro lettore specializzato per Comics (Fumetti) in grado di leggere PDF, file CBR, files CBZ e files .CBI.

E’ purtroppo un’applicazione un pò cara, ma decisamente più robusta di ComicPad, anche se prima vi direi di provare Cloud Readers per i vostri CBZ, CBR visto che è gratuita e funziona molto bene. Ma ComicZeal4 ha di recente introdotto una opzione sperimentale chiamata “Assisted Panning” con la quale la lettura dei Fumetti diventa estremamente più comoda rispetto agli altri reader come CloudReaders o ComicReader. A differenza di Cloud Readers che rende i CBR istantaneamente disponibili da leggere una volta copiati, ComicZeal4 deve “importarli” prima di usarli, facendovi attendere qualche secondo la prima volta e soprattutto facendoveli sparire dalla tabella in iTunes, rendendo le cose difficili per evitare doppioni.

iPAD PERFETTO PER UNA LETTURA OVUNQUE VOI SIATE – Insomma con tutte queste applicazioni, il mondo dei PDF si riversa egregiamente su iPad. Per non parlare delle applicazioni che gestiscono gli eBooks direttamente, come Kindle di Amazon per iPad, iBooks stesso di Apple (ma si deve aspettare Maggio per qualche libro in italiano), XComics, Marvel Comics della Marvel, eBooks Deluxe reader, Wattpad e slegato dal mondo dei PDF, Audiobooks for iPad della Crossword Consulting Ltd.

A quando un Bonelli Comics direttamente su iPad? Ma guardando il (nuovo!!!) sito online, che usa ancora i frames, mi sa che arriveranno prima tutti gli editori del resto del mondo sul vostro iPad e poi forse qualcuno italiano.

Dalle Webmaster Guideline di Google: “If fancy features such as […] frames, DHTML, or Flash keep you from seeing all of your site in a text browser, then search engine spiders may have trouble crawling your site.”

Per la Fieg, Internet e Televisione sono un nemico da combattere?

I ricavi da parte delle imprese editrici di quotidiani del periodo 2007-2009 in Italia e’ uno dei peggiori, secondo la Fieg.

Per il periodo 2009-2007, i quotidiani nazionali hanno venduto il 9,5% in meno, quelli locali il 4,9% in meno, con una media di 86 copie vendute ogni 1000 abitanti.

CD, Dvd, Libri, indicati come i “collaterali” del settore, sono calati del 45,6% in due anni; tra i periodici i ricavi editoriali calano del 14,4% e il 29,5% in meno di ricavi pubblicitari.

PER LA FIEG SERVE UNA TASSA — La risposta della Fieg per voce del Presidente Malinconico e’ quella, tra le altre, di tassare chi naviga online e di intervenire con la collaborazione di provider e dei motori di ricerca contro l’utilizzo improprio dei contenuti on-line.

E critica e’ la posizione che sostiene indicando che il settore ha ricevuto anche minori agevolazioni fiscali e aiuti statali rispetto agli anni precedenti.

Dopo queste due frasi, direi che un paio di secondi per riprendersi e’ necessario.

UN PROBLEMA DI INNOVAZIONE – Quale sarebbe il problema? Forse quello di non essere capaci di trasformare i propri contenuti (oramai gia’ tutti digitali) in un sistema di fruizione piu’ moderno e dinamico, che possa utilizzare come veicolo di diffusione proprio quegli strumenti che invece la Fieg vuole penalizzare?

Accusano Internet e la televisione di “rubare” audience all’editoria, ma forse e’ proprio l’editoria stessa a dover capire che potrebbe invece essere la prima attrice dei contenuti del Web e dei media digitali di questi e dei prossimi anni. Non subire Internet, ma sfruttarlo.

Invece nei gruppi editoriali cosi’ come li conosciamo, per l’online ci sono solo timidi tentativi di cavalcare momenti di innovazione portando on-line dei contenuti nati per l’off-line, ma mai un segno di innovazione di come, a partire per primo dagli autori stessi, i contenuti editoriali debbano essere funzione dei nuovi media e non viceversa.

Sono on-line inziative figlie di idee editoriali nate altrove, quando invece le idee editoriali di oggi devono poter nascere figlie di progetti pensati per le nuove tecnologie e le nuove modalita’ di fruizione, per poi successivamente creare servizi a valore aggiunto la cui fruizione sia veloce ed immediata per ogni tipo di device e utente.

E invece di capire che serve dare contenuti il piu’ possibile on-demand e non riviste e mensili i cui contenuti sono scritti settimane prima, i segnali che mandano sono timori di non riuscire piu’ a produrre contenuti atti a ricevere sovvenzioni statali.

E se non basta, parlano di tassa quando invece dovrebbero guardare ai propri contenuti editoriali e trasformarli in portali di informazione, dare valore aggiunto agli stessi e poi specializzarli in un media fatto sempre piu’ di parole ma anche video. Non serve reinventare, basta guardare a Murdoch e alle proprie property editoriali online in USA.

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