Il mio nome è “Stomp”

Mossi da un senso di giustizia fuori dal comune, scendiamo dalle scale del bar per entrarvi. Le scale portano al di sotto del livello del suolo di almeno un paio di metri.

Le luci sono tutte soffuse, come di un ambiente sempre volutamente tenuto al buio anche durante il pieno giorno e il soffitto è estremamente basso tanto da sfiorarlo con la testa mentre si percorre il corridoio d’ingresso.

Scendiamo le scale uno vicino all’altro, ma non ci parliamo. Ma c’è sempre intesa tra noi tre, non c’è bisogno di dirsi sempre tutto. Camminiamo sicuri di noi e senza dare nell’occhio. Appena varchiamo l’entrata del locale, abbiamo subito la sensazione che all’interno ci sia sicuramente uno di quelli che stiamo cercando e l’intuito ci dice di rimanere uniti per trovarlo, perché un gruppo unito è un gruppo più forte.

Decido invece di percorrere da solo il corridoio che va dalle scale verso un’altra rampa più avanti, e lascio gli altri due a cercare altrove. Si accorgono che mi stacco da loro, ma non importa. Ognuno ha abbastanza esperienza da sapere sempre che cosa fare, anche da soli.

Salgo la seconda rampa di scale, sempre scura e stretta come la precedente, questa ancora più buia in quanto lontano dall’entrata luminosa del locale e forse, ma non ne sono certo, anche unta e sporca per terra. Il soffitto è così basso da rasentarmi la testa e non è piatto e omogeneo, ma è pieno di tubi, cavi elettrici e blocchi di cemento e ferro disposti disordinatamente ovunque sul soffitto. Ma è così scuro da non distinguerli bene uno dall’altro. Alla fine delle scale finalmente il bancone del locale, un tipico banco da bar, ma anch’esso scuro, prevalentemente di colore marrone scuro, anzi di legno scuro. E’ incassato nel muro a sinistra. Non saprei dire come fare a raggiungere il retro del bancone, volendoci andare, non vedendo alcun passaggio o porta.

Dietro al bancone c’è una ragazza sui 35 anni, parecchio magra, piena di tatuaggi, seduta e appoggiata con il braccio sul bancone palesemente annoiata: nessuna ordinazione, nessun cliente e forse troppa poca luce intorno.

La ignoro, comunque lei non mi guarda e proseguo, pochi passi, c’è un passaggio dal quale a sinistra parte un’altra rampa di scale, di nuovo verso il basso e almeno due o tre volte più lunga delle altre. Saranno almeno 20-30 scalini, forse di più. La parete di sinistra che costeggia la scala però ora diventa molto più curata; è tutta in legno scuro e mi accompagna per tutta la discesa rimanendo alta tanto quanto la quota di partenza e quindi scendendo si ha la sensazione di avere un muro altissimo sulla sinistra che non permette la vista del lato sinistro in alcun modo e si può vedere solo davanti a sé.

Scendo le scale lentamente, finalmente si vede qualcosa, davanti a me si intravede una sala, molto grande e molto alta di soffitto. Tutte le pareti intorno sono coperte da traversine orizzontali in legno scuro marrone molto ben curate per circa il 75% dell’altezza della parete. In alto, il legno termina per mostrare il muro bianco portante e nascosto di marmo. Guardo il soffitto, ma è una volta. La volta sì, quella di una chiesa! Almeno un paio di navate di lunghezza se volessi dare un giudizio architettonico. Finita la discesa dalla scala, scorgo che a sinistra dietro al muro della scala c’è un’ampia area con un altare e un prete che sembra intento a predicare una messa. Davanti a lui, la sala è piena di tavoli in legno e panche disposte per tutto lo spazio. Alcune persone sono sedute e rivolte verso di lui. Ci sono almeno 15 fila di tavoli e panche e gente seduta. E’ una messa!

Mi rendo conto di essere nel mezzo di una messa, benché in quel momento non ci sia alcuna preghiera, canto o sermone in corso, ma per non dare nell’occhio mi dirigo appena possibile a destra per andare nella navata laterale, più lunga che ampia e con tavoli e panche rivolte verso la navata centrale, ma le persone sedute in questa parte della chiesa non vedono bene l’altare in quanto nascosto dalla quella parete imponente della scala da cui sono sceso.

Mi affretto e mi siedo in una panca che guarda verso la sala centrale e che sta in mezzo alla navata laterale, abbastanza isolato dagli altri tavoli intorno. Non c’è rumore e nessuno parla. Mentre decido di sedermi, noto che i tavoli in cui si trova una persona sono imbanditi con un vassoio rettangolare in argento o simil argento dai bordi leggermente rialzati e neri perché mai lucidati. Sul vassoio un porta candela di color argento e una candela bianca spenta. Simmetricamente dall’altra parte sul vassoio, un porta uovo, ma senza uovo, come se fosse già stato consumato. Un tovagliolo non usato e nessuna posata. Tutti quelli seduti hanno dinnanzi a loro un vassoio come questo, come se fosse parte di un rito appena conclusosi. Guardando il vassoio sulla mia destra noto la signora anziana seduta di fronte ad esso. La posizione della panca è tale da farle volgere lo sguardo verso la parte opposta dell’altare; inoltre essendo appoggiata alla parete è completamente inibita dal vedere tutta la parte centrale della chiesa, tanto meno l’altare. Mi fissa incuriosita, forse infastidita dall’essere l’unico che si muove in questo momento della messa, ma non dice nulla. E’ magra, scarna direi, porta degli occhiali tondi non di grosse dimensioni che completamente rendono anonima la sua faccia, ha i capelli grigi raccolti con dei boccoli e indossa una camicetta bianca.

Per sedermi devo togliere prima l’ingombrante zaino che ho sulle spalle. Nella mia posizione non c’è un tavolo davanti alla panca pertanto mi siedo e ripongo lo zaino davanti ai miei piedi sotto al poggia schiena di legno della panca davanti. Lo zaino fatica a sistemarsi in quanto parecchio ingombrante e lo spazio a disposizione è minimo. Mi accorgo che con i colpi che tento di dare allo zaino per farlo infilare attiro l’attenzione della persona seduta sulla panca davanti. Questi si gira lentamente sorridendo.

Quest’uomo, di mezza età, si volta e mi dice “Non ti preoccupare, è normale, non ci sta mai nulla sotto a queste panche”. Rincuorato dal fatto che appaia amichevole, mi sporgo in avanti verso di lui e lo guardo meglio e noto che non è per niente un uomo di mezza età ma forse è molto più giovane, forse sui 25-30 anni, parecchio magro, ma indossa un cappotto e un cappello che lo rendono poco inquadrabile. Ha comunque la pelle molto liscia e chiara, un mento più lungo del solito, ma nient’altro di particolare. Di certo non è chi stiamo cercando.

Quando faccio per riappoggiarmi allo schienale della panca, mi sorprendo di vedere seduto sulla mia sinistra una persona, una donna. Non c’era nessuno prima di sedermi, eppure mi ritrovo o pochi centimetri da me una signora che mi guarda e come per scusarsi per il mio sussulto di sorpresa dice “Oh, non si preoccupi, sapevo che prima o poi si sarebbe seduto qualcuno qui”. Capisco allora che il posto era vuoto ma solo perché forse questa persona era momentaneamente assente.

Mentre l’intera chiesa si fa sempre più buia, alzo lo sguardo verso la navata principale davanti, la cui parte finale di destra non si vede da qui e il cui altare a sinistra non si vede in quanto nascosto dalla parete delle scale. E di fronte nessuna altra navata quindi in realtà è una chiesa non a forma di croce ma a forma di T.

Davanti ora vedo molta gente seduta e silenziosa. Non ci sono posti liberi e noto altrettanta gente anche alla mia destra. Nel frattempo senza farmi notare da nessuno ho disteso le gambe infilandole e nascondendole tra giacche e cappotti buttati per terra delle persone davanti. Eppure dalla mia destra sbuca improvvisamente un giovanotto vestito da prete molto alto e magro e probabilmente adibito a mansioni di controllo della cerimonia che intenzionalmente passa al mio fianco e mi guarda senza fermarsi per accertarsi per bene chi io fossi, un estraneo nella loro chiesa, forse una prassi normale per ogni nuova persona che entra qui oppure proprio c’è qualcosa che non va. Dal suo sguardo percepisco anche un velo di accusa per la mia posizione scomposta, con le gambe allungate e il corpo disteso un pò troppo sulla panca. Una volta che l’uomo è scomparso più avanti nell’altra navata, decido allora di raccogliere le gambe e mi metto composto.

Mi accorgo ora che alla mia sinistra c’è ora il ragazzo che prima era di fronte a me. Ora è seduto al posto della signora che invece è scivolata più in là. Egli si avvicina, indica due persone davanti a destra e mi bisbiglia “Le conosci Ha…. e R….i?”. Non riesco a comprendere bene i nomi, sicuramente non li ho mai sentiti pronunciare in vita mia e nemmeno penso siano dei veri nomi. Sta indicando senza farsi notare due signore o due ragazze che però da dietro non si riescono a distinguere bene in quanto entrambe indossano un cappello e un cappotto il cui bavero sale fino a nascondere completamente il collo. L’unica differenza tra le due ragazze è il colore dei capelli, una bionda e una rossa, ma niente di più mi fa distinguere le persone e il buio della sala non fa nemmeno distinguere per bene i colori dei capelli. Ma non voglio ignorare la sua domanda e a bassa voce chiedo “Chi scusa?”. “Hi…i e Ma…..e?” ripete. Questa volta mi sembra di avere inteso dei nomi completamente diversi da prima. E anche questa volta non li comprendo per bene, per la voce troppo bassa o non so bene il motivo. Per evitare un inutile continuo di conversazione gli do retta e rispondo “No, non le conosco.” senza fare intendere che proprio non so di chi stia parlando. Il tipo allora si fa indietro e alzando la voce dice compiaciuto “E allora non sai che cosa ti perdi!” e sorridendo si ricompone al suo posto. Non mi interessano quelle due signore, non so nemmeno perché questo tipo pensi che io le conosca. Appena ritornato al suo posto, qualcuno molto gentilmente mi afferra la mia mano destra per tenerla stretta tra le sue. Mi giro di scatto e vedo un anziano signore abbastanza obeso, ma elegante nelle sue forme, seduto poco più dietro rispetto alla mia posizione, ma non nella fila posteriore, che mi guarda e sorridendo dice “Figliuolo, se hai qualcosa da dire, puoi dirla a me”.

Non riesco a inquadrare bene questa situazione, se sia inopportuna, fastidiosa o semplicemente caritatevole. Che cosa vuole questo uomo? Eppure la sua domanda è posta con così tanto interesse e calma che non voglio non rispondere. Eppure sono dubbioso e prendo tempo cercando di capire che cosa veramente io voglia dire. “Se hai qualcosa da dire, puoi dirla a me, non devi preoccuparti.” sento ripetere con lo stesso tono di prima. Guardo il volto dell’uomo e il suo sorriso e il suo sguardo mi mettono a mio agio. Sembra trasmettere solo sentimenti positivi di altruismo. “Sento che dentro di me ci sono due vite, una reale e una che vorrei essere davvero” è la mia risposta d’istinto. Subito tra me e me penso a quello che ho detto, “vita reale” e “vita che vorrei essere”. Ma che cosa vuol dire? Mi rendo conto di avere detto una cosa poco comprensibile, eppure mi sembra che l’anziano abbia compreso le mie parole e non pone altre domande.

Il giovane di sinistra mi si avvicina e bisbiglia “Guarda che non è quello che sembra, se vuoi una persona che ti dica le cose giuste ti mando io dalla persona giusta a cui chiedere e non è quello”. Lo dice talmente a bassa voce che devo avvicinarmi bene per sentirlo e nel farlo mi ripete “Quello non è quello che sembra”. Lascio allora d’istinto la mano dell’uomo e, ancora agitato per la situazione, di fronte a me si avvicina una donna con il viso uguale alla signora magra e seduta che indossava un paio di occhiali rotondi.

La donna mi porge un foglio di carta e una penna. “Chiunque viene qui da noi deve lasciare un segno, fai il tuo su questo foglio”. Afferro il foglio e inizio allora a guardarlo. E’ un foglio bianco a quadretti A5 e ci sono disegnate a penna una serie di disegni, tutti allineati in una specie di allineamento per righe e per colonne. Vedo un albero, un mezzo castello, una strada e non sono per niente fatti male. Mentre guardo le immagini fatte da altri, la donna mi toglie il foglio dalle mani, lo capovolge e me lo ridà dicendo “Ecco, qui, usa questo spazio qui in basso”. Guardo il foglio e ora i disegni sono molto più brutti, quasi delle prove interrotte. Mi rendo conto quindi di essere stato messo nella parte B del foglio e che la donna non voleva che io rovinassi la parte bella del foglio con magari qualche mio ghirigoro. Mentre cerco uno spazio a sinistra dai pochi disegni già presenti, mi rendo conto che in realtà il foglio è già pieno di quadretti di sfondo così evidenti che è praticamente impossibile fare un disegno senza confondersi con le righe dei quadretti e inoltre non sono per niente un buon disegnatore e quindi titubo e non disegno praticamente nulla fino a quando la donna si accorge dalla mia indecisione, esclama “Va bene”, afferra il foglio e senza esitazione si gira e se ne va via. Mi rendo conto quindi di non essere proprio uno di loro e decido allora di andarmene.

Dopo tutti questi anni, c’è un momento in cui senti di dover darti da fare anche senza che i miei due compagni di avventure mi siano vicini. E’ un sesto senso che improvvisamente ti dice che sei fuori posto e che il tuo dovere è altrove. Mi alzo e senza zaino mi affretto e salgo di nuovo le scale sulla mia sinistra per tornare all’ingresso dai miei due compagni di lavoro. Lungo le scale a metà vedo un uomo seduto sui gradini e appoggiato al muro. E’ moribondo o ubriaco, decisamente svenuto. La donna del bancone sta tentando di aiutarlo, ma senza molti sforzi, diciamo che tenta di aiutarlo ma con poco successo in quanto l’uomo è molto più grande di lei fisicamente parlando. Li ignoro e passo via continuando a salire le scale.

In cima, giro a destra passando davanti al bancone per dirigermi verso la rampa che scende verso l’uscita. Improvvisamente l’intero soffitto sopra di me inizia a vibrare in modo innaturale e tale che guardandolo non lo si riesce più a mettere a fuoco, come se ci fossero delle mutazioni, delle vibrazioni di tutto il soffitto ma di una durata di tempo infinitesima. Poi il tutto smette e torna normale ma subito dopo si ripete. Alla terza “oscillazione” capisco che non c’è tempo da perdere e so che cosa sta succedendo. Mi affretto per scendere le scale e di nuovo, anche il soffitto sopra di me subisce lo stesso effetto di prima: si deforma poi torna normale, questa volta in modo più esteso rispetto a prima, come se la deformazione volesse precedermi di qualche metro.

“Che cosa succede?” sento dire da dietro le mie spalle. E’ la ragazza del bancone, indubbiamente deve avere notato anche lei qualcosa di strano. La ignoro, ora per me si tratta solo di uscire e trovare i miei due compagni che ancora non vedo.

Sono intanto sceso dalle scale e finalmente mi avvicino alla rampa di scale finali che porta fuori dal locale. E’ quella più ripida, come se fosse stata costruita per necessità in uno spazio troppo stretto. Qui almeno c’è l’unica luce naturale che viene dall’esterno. Una luce da solleoni di pieno estate. Mentre guardo verso l’uscita, tutta la parte della rampa d’uscita inizia a vibrare di nuovo e si deforma e sulla stessa scala vedo un uomo di spalle, capelli neri e lunghi, spalle muscolose con una pelle del corpo verdissima e la schiena protetta da una specie di maglia d’acciaio gialla e verde che scende dal collo fino alle gambe dell’uomo che però non esistono in quanto il resto del corpo dalla vita in giù è un tutt’uno con i gradini della scala, e nel punto di contatto non ben precisato non si distingue né la scala né il corpo dell’uomo per come si è deformata la materia.

Dovevo bloccarlo. Corro per raggiungerlo, è il “villain” che stiamo cercando, e quando arrivo sotto di lui per afferrarlo, egli è già in cima alle scale e la scala è ora diventata così ripida da essere praticamente verticale. Allungo il braccio e quello che riesco ad afferrare sono solo alcune “maglie” di quella giacca in acciaio che indossa perché le gambe non le trovo. Tento di strattonarlo, ma le maglie sono umide e bagnate, così viscide che la presa mi cede. L’uomo non si volta mai, pensa solo ad andare avanti e sale oltre l’ultimo gradino, raggiunge il pianerottolo d’uscita e scompare, assorbito dal terreno! Non so come descriverlo, ma certo è come se si fosse sciolto nel terreno. Salgo velocemente ed esco all’esterno. La luce d’estate illumina l’immensa strada vuota e desolata di fronte all’entrata del bar. Il bar è posizionato lungo questa strada larghissima a due corsie, sotto alcuni alberi altissimi. Intorno, alcune auto parcheggiate e altri alberi distribuiti in modo disordinato lungo tutta la strada polverosa e piena di sabbia che scivola indisturbata sull’asfalto per il poco numero di auto che transitano. La luce mi aiuta a controllare meglio il terreno. Appena uscito infatti il terreno che va dal bar verso le auto parcheggiate sulla sinistra vibra come se dovesse tutto improvvisamente rovesciarsi sotto sopra. Corro nel punto che mi sembra il centro delle oscillazioni del terreno, e sento un altro colpo sotto ai miei piedi e vedo tutta l’area intorno che si deforma e ondeggia per due o tre volte per poi tornare come se niente fosse. Forse l’essere non riesce nel suo intento. Non importa, è troppo pericoloso e i miei due compari ancora non si sono visti. Sono da solo e decido di intervenire.

Corro verso il centro dell’ultima parte del terreno che ha sussultato e… faccio il mio salto! Spicco un balzo di qualche metro per poi ricadere giù verso terra e mentre scendo metto il mio piede destro in avanti come se dovessi mantenere al massimo l’equilibrio una volta a terra. La suola perfettamente parallela al terreno e… stomp! Un boato colpisce l’intera zona, che viene investita anche da un flusso elettrico che si diffonde uniformemente sotto di me, partendo dal mio piede destro. La terra si deforma subito di nuovo sotto di me. Un sussulto che tenta di farmi perdere l’equilibrio. Ripeto subito il mio salto un altro paio di volte spostandomi di qualche metro ogni volta per assicurarmi che la zona venga ben investita dal mio colpo. Stomp! Stomp! e dopo il terzo salto, mi fermo e non sento più alcuna attività nel sottosuolo. La deformazione ha smesso di accadere.

Il mio nome è Stomp. Quando salto, ho il potere di generare impulsi elettrici al contatto del mio piede destro con il terreno. Tali impulsi sono così potenti generalmente da inibire qualsiasi forma di vita o funzionalità elettromagnetica. Io e i miei altri due compagni giriamo il mondo a caccia di cattivi per catturarli, renderli innocui e tenere sotto controllo.

Questo è quello che è successo Sabato mattina.

(src: sogno lucido)