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Tim Armstrong in AOL, lascia Google.

Tim Armstrong diventa presidente e CEO di AOL. Presidente delle operations nelle America di Google Inc, lascia la posizione dopo avere costruito il più grande team media mai creato in una società Internet.

IN GOOGLE DAL 2000 – Armstrong era entrato in Google nel 2000 e aveva da subito posto le sue indicazioni di successo nello sviluppo di un modello e prodotto di Ads, Adwords e Adsense, che ha poi fatto la fortuna di Google come ben sappiamo.

Fino al 2000 Google non aveva bene in mente se il modello di Ads dovesse essere a CPM o a Display Advertising tramite una piattaforma come Doubleclick.

GOOGLE PRINT, TV E AUDIO ADS – Però Armstrong è stato anche quello che ha seguito lo startup di progetti come Google Print, Google Audio (!!!) Ads e Google TV, tutti progetti che sono stati annunciati in chiusura da parte del gigante di Mountain View.

Inoltre in AOL troverà non solo Google come competitor, ma uno peggiore: Time Warner stessa (Time Warner possiede AOL), che in periodi come questi quanta libertà vorrà disporre ai budget del nuovo CEO di AOL?

 

BRIAN BERSHAD E IL DOPO WEB DI GOOGLE – Intanto Google, per conto di Brian Bershad, una mente tecnologica uscita dalla “University of Washington” e in Google dal 2007 annuncia che la difficoltà di Google è ora quella di cercare e indicizzare tutti quei dati che non sono accessibili liberamente come invece lo è il web e che questa seconda fase sarà per Google di gran lunga più difficile rispetto ad un “semplice” indicizzare il web, che è libero e disponibile per tutti.

Farsi dare i dati dalle persone e dagli utenti è la cosa più difficile, meno di doverle poi organizzare.

Nello stesso tempo in Google è sempre estremamente attuale la discussione sui cambiamenti della SERP, la pagina dei risultati di ricerca.

Ad esempio, tempo fa dopo lunghe discussioni si volle cambiare la scritta indicante la pubblicità di Adwords in rosso, in modo di attirare maggiormente l’attenzione della gente e aumentarne i click e quindi le revenue.

Le revenue aumentarono, ma poi si scoprì che benchè la gente cliccasse di più, le persone, con il passare del tempo, osservavano di meno gli ads sponsor, deteriorando quindi la user experience. 

Gli ads sono tornati blu.

flickr_logo

FLICKR DI YAHOO!, FINALMENTE IL GIOIELLINO TORNA A CORRERE – Ma quello che mi ha stupito di più in positivo oggi è finalmente vedere che il piccolo gioiello in casa Yahoo!, Flickr, il sito di upload foto di yahoo!, mai integrato come si deve negli altri servizi di quest’ultimo, forse per paura, forse per incapacità, permette finalmente (un timito) upload di Video! E ci voleva tanto? Flickr è veramente molto carino e soprattutto molto facile da usare, più di Picasa ad esempio, e spesso nell’account Pro offre una serie di caratteristiche di indubbia validità, ma da anni Flickr era immobilizzato da un “strana” aurea negativa portata dall’acquisizione di Yahoo! e da lunghissime discussione di integrazione mai giunte a buon fine.

Medaglie opache e tara del web, Google monopolio che uccide.

Abbiate un pò di pazienza, ma questo post è l’introduzione di uno scenario catastrofico del web nostrano. Voglio precisare che indipendentemente da quello che sto scrivendo, credo parecchio nelle iniziative locali, ma questo post descrive un problema di uno scenario molto più attuale di quanto possa sembrare, difficilmente percepibile per chi è utente di internet e non operatore.

UNA MEDAGLIA CHE FA BRILLARE – C’è una medaglia che brilla in fronte a tutti noi, è Google. E’ il motore di ricerca che usate di più, è quello migliore, è quello che vuole cambiare il mondo in meglio ed è quello che fa sembrare il Web più bello, che inventa la mail più veloce del mondo, rivoluziona le mappe on-line e moltissime altre iniziative.

Google e’ veramente una medaglia d’oro, lucida e scintillante. Per gli utenti è il miglior sito dell’anno, ogni anno. Ha il numero di utenti più elevato d’Italia e non fa trucchi ed inganni per tenersi gli utenti.

Chiunque vorrebbe avere a che fare con un’azienda di questo genere, rende migliori le cose, fa il web.

Nello stesso momento il luccichio di Google risplende su milioni di altre lattine sparse nel web. Google Adsense (e la Search come business in generale) è atterrato su tutte le pagine di quel web agonizzante del post-bolla anni 2000 e ha portato quei soldi che han permesso a tanti di rifondarsi e ricostruirsi.

Per molti, quasi per tutti, la Search di Google e Adsense sono stati il vero “boom” di internet, il vero business che giustificava i progetti virtuali decantati dal Web 2.0, dal behaviour marketing, l’idea di poter avere un business model dietro ai social network, un e-commerce 2.0 in cui tutti possono vendere e diventare merchant, il blog re-inventato per tutti, le directory di siti con PR elevato. Anche Virgilio e Libero e tutti gli altri fanno parte di questa valle illuminata dai soldi della Search.

Per chi non ha visto la Search da dentro, non è per niente facile conoscere il valore dell’apporto finanziario che può dare e chi lo conosce non ne parla per paura di svelare il grande segreto del loro successo. Se vi dico che per ogni click generato in uscita dal vostro sito potete guadagnare sempre indistintamente almeno 10 centesimi a click e se vi dico inoltre che per ogni pagina web che mostrate almeno 1 utente su 5 cliccano con certezza, allora il business è presto stimato.

Il “sempre e indistintamente” è merito di Google: Natale o data che sia, il click è garantito, metiro delle tecnologie di Google e della quantità enorme di clienti a sua disposizione. Nessuno può garantire questo approccio meglio di Google e il valore del click è al minimo di 10 centesimo di euro, per alcuni settori fino anche a cinque volte tanto. E questo è per l’Italia.

Quando milioni di pagine Web italiane hanno scoperto Adsense, piano piano hanno abbandonato i vecchi network pubblicitari per lasciare più spazio possibile a Google.

Meglio di così che si vuole? “Metto una tag singola e guadagno soldi subito, devo solo scoprire come fare ad aumentare le pagine viste e magari anche i click sugli annunci di Google e posso dedicarmi ad altro” è il pensiero comune di tutti quanti.

Durante questa fase di idilliaco guadagno dal 2000 ad oggi, ogni sito si auto ri-fonda “Web 2.0” come per dimostrare che il merito dei guadagni non e’ solo merito di Google. Era il modo per purgarsi del vecchio Web, quello brutto e senza spessore, quello dei dialer o dei layer con i banner nascosti o dei pop-up “scarica la suoneria”. Ora c’è quello nuovo, quello con il quale si dice di fare behaviour marketing, Social marketing, Social networking, Added Value, Online Gaming, Chatting Business, Foruming, Blogging.

Colpa di Google, a lui tutto questo piace. Nessun webmaster in realtà riesce a creare del vero added value. Lo scopo di tutti è accomodare Google Adsense. Nel frattempo Google diventa il numero 1 in Italia, un monopolio che controlla il 90% degli utenti italiani e il 90% delle pagine viste e la loro forma di Business.

Ho visto pagine di negozi online riempirsi di Adsense persino sul carrello della spesa, in home page, ovunque, un deprecabile web di provincia destinato presto a perdere utenti fedeli a favore di Google, pagine create apposta per mostrare adsense in tutte le forme, menù che fanno a finta di farsi cliccare sugli hotspot pubblicitari di Google che vengono scambiati per opzioni, layer nascosti per farti cliccare sulle pubblicità (se non per generare click automatici) e pagine il cui contenuto non esiste se non per un titolo da far leggere a Google e 20 annunci pubblicitari in attesa di un click da parte di un utente disperato giunto in quella pagina (allego la pagina di un sito americano per non offendere nessuno qui in Italia, ma non siamo molto lontani da quello scenario).

Ora succedono due cose.

Del Web 2.0, a Google proprio non interessa. Del “tuo” web 2.0 ovviamente, del suo sì e parecchio. Non gli interessa nemmeno il tuo “motore di ricerca”, il tuo “blog” o il tuo “sito di e-commerce” con le opinioni degli utenti. Gli interessano i tuoi spazi, ma appena quegli spazi sono fastidiosi per i suoi clienti, il tuo sito verrà declassato, Adsense apparirà di meno, se non sparirà del tutto, il tuo guadagno scende lentamente e il tuo sito torna al Web 1.0.

Visto che lo sguardo di ognuno e’ quello di massimizzare le pagine viste in favore di Google, ora che Google ha finito di massimizzare la quantità, il colosso passa a volere quantità e nessuno e’ pronto; pertanto all’attacco, morte ai siti che non sono “Added Value”.

E improvvisamente migliaia di pagine diventano “povere”, perdono Google Adsense, perdono revenue. Le stesse pagine smettono di fare Web 2.0, non c’è più il social, il blogging e il chatting. Forse non c’erano mai stati.

E ora arriva la crisi. Da un problema apparente solo di Wall Street, la crisi ora e’ magicamente apparsa nei budget del 2009 e nei costi da tagliare. Taglio dei costi, ottimizzazione dei Budget, massimizzazione dei progetti reditizzi, eliminazione delle “baggianate”. “Il Web 2.0? Meglio un banner venduto in più in Home Page”. “I social behaviour e marketing project intrapesi? Ora in stand by, intanto miglioriamo le revenues dalle mailing list”. “Devo fare il profilo degli utenti? Aspetta, prima chiama i clienti per massimizzare ogni tipo di opportunità gia’ in corso, non aggiungiamo nuovi business incerti…” le frasi più comuni degli ultimi tre mesi.

Il rovescio della medaglia di Google è il monopolio che ha creato, un monopolio di utenti e pagine viste; un flusso di revenue che scompare dalla mattina alla sera a suo piacimento in nome di una qualità chiamata “Added Value” che Google cerca nelle pagine Web ma che è a totale discrezione del colosso di Mountain View. 

Non è added value un motore di ricerca, ad esempio. Pertanto, se inventi un nuovo motore di ricerca, magari geniale per la ricerca di immagini o per il web, Google ti declassa in quanto “c’è già un motore di ricerca migliore del tuo, perchè la gente dovrebbe usare il tuo se puo’ usare Google?”.

Se fai un servizio di mail, invio messaggi, file storage remoto, la risposta di Google e’ “perchè mai la gente dovrebbe usare quel servizio? c’è già quello di Google ed e’ meglio” e vieni declassato.

UNA MEDAGLIA CHE RENDE OPACO – Con questo criterio del “Se può farlo Google, non è added value”, il Web 2.0 è praticamente destinato a inventare solo quello che Google non inventa.

Se per gli utenti Google e’ splendente, per parecchi operatori sul Web, Google e’ l’altra faccia della medaglia, è un monopolio, un monopolio che uccide, che decide le regole, che non permette alternative, che soffoca l’innovazione e la concorrenza e indebolisce il nostro mercato.

Da una parte luccica, dall’altra uccide e non ci sono alternative.

Gia’… alternative. Non ce ne sono.

UNA TARA PER LA PUBBLICITA’? NON C’E’ – Benche’ Google decida da solo le regole pubblicitarie del proprio network e stabilisce quali siano i modelli di business da promuovere (senza conoscerli nei dettagli), non ci sarebbero problemi se si venisse rifiutati e ci fossero delle alternative. Anche per la Televisione, il mio spot non viene accettato in prime time per motivi di “brand” e “appealing”, pertanto posso pagare anche di piu’ di Telecom, ma e’ probabile che il mio spazio sia dopo le 22 o prima dell 19, ma non alle 20.00 dopo Gerri Scotti. E’ una sorta di regolamentazione sulla qualita’ decisa dai network televisivi. Ma per la televisione la “tara” di qualita’ degli spot e’ controllata da associazioni anche indipendenti e comunque il mercato e’ diviso in 2 (se non gia’ in 3 oramai da noi) e un monopolio non esiste.

La “tara” dei siti che invece stabilisce Google e’ insindacabile e tendende alla concorrenza sleale. C’e’ poco da fare, e’ un monopolio e le sue decisione sono troppo influenti per il mercato da non potersi muovere come vuole. Eppure lo fa.

Perche’ se per le Televisioni o per la Carta Stampata, la “tara” della qualita’ e’ controllata, per il web non c’e’ nessun controllo? In entrambi i casi e’ uno spot commerciale, che cosa c’e’ di diverso? La risposta e’ semplice. Il mercato e’ debole, troppo giovane e troppo piccolo; non produce standard perche’ c’e’ troppo poco business e non giustifica associazioni private indipendenti per il controllo dell’etica. Il Monopolio non lo fa crescere.

Con questo e con la crisi, è il Web 2.0 a defungere. E non è un bene. Benchè possa sembrare “etico” che Google elimini i siti senza “Added Value”, in realtà la decisione è insindacabile da parte di Google e spesso discutibile (vedi il penalizzare un “motore di ricerca”) e sta bloccando un Web fatto di progetti, iniziative, attività, business che produce economia e innovazione.

Se Internet fosse più maturo, probabilmente non saremmo in questa situazione. Ma si sa, e’ l’Italia, il paese in cui si spende online nove volte meno di un inglese, quattro volte meno di uno francese e di uno tedesco.

Google Quality Score, altri due piccoli cambiamenti al sistema di ranking.

A pochi mesi da estesi cambiamenti, Google annuncia nuovi cambiamenti negli algoritmi del Quality Score.

Per chi non lo sapesse, Il Quality Score è uno dei coefficienti utilizzati da Google per stabilire il costo del click della pubblicità comperata su Google.

DUE CAMBIAMENTI PRINCIPALI NEL QUALITY SCORE – Il primo cambiamento riguarda un problema del precedente algoritmo che premiava troppo chi stava in prima pagina e troppo poco chi stava nelle pagine successive. Quello che succedeva era che Google ti penalizzava se un tuo messaggio pubblicitario riceveva troppi pochi click rispetto alla media, ma non teneva conto del fatto che scivolando in posizioni sempre meno elevate, i click diminuiscono per motivi non solo matematici (per motivi ad esempio di “similitudine” con altri ads o “deja vu” da parte degli utenti di url o messaggi simili). Pertanto aspettandosi un numero di click maggiore di quello effettivo, il quality score penalizzava ingiustamente gli ads oltre alle prime pagine. Non penso Google abbia risolto questo problema di difficile misurazione, ma è comunque un primo passo verso una giustizia più ampia.

Il secondo cambiamento riguarda gli ads “buoni” che vogliono pagare comunque pochi centesimi a click. Secondo Google questi annunci vanno premiati; secondo un sistema di pull a totale discrezione di Google, essi vengono di tanto in tanto incrementati dalla posizione attuale ad una superiore, anche fino in prima pagina. Una specie di verifica “temporanea” della bontà dell’annuncio che, se positiva, potrebbe portare ad un migliore click through rate (CTR), a miglior conversione lato cliente e pertanto ad un futuro costo a click pagato dal cliente più alto. L’elezione del candidato da premiare potrebbe basarsi sugli stessi sistemi con cui Google decide di riproporre in posizioni più alte keywords o annunci senza traffico o declassati. Il sistema si basa sui “noti” parametri di account, ovvero numero di keywords buone per url, per account e per annuncio, numero di inserzionisti per keyword e ricalcolata rilevanza della landing page. Maggiore in numero tali elementi sono “Eccellenti” e più ci sono probabilità di ripescaggio. Pertanto in una campagna di 10 annunci per un sito web, se uno di questi dovesse finire lontano dalla prima pagina, è possibile che Google lo riposizioni per qualche tempo in prima pagina e rivalutarne il quality score, correggendo un punteggio precedentemente sbagliato se necessario.

SEMPRE PIU’ PROBLEMI SUL CONTROLLO DELLA QUALITA’ DEGLI ANNUNCI – Uno dei problemi di Google è oggi quello della qualità delle inserzioni.

Poichè è facile creare campagne e annunci in Google e poichè il sistema generalmente li pubblica immediatamente, parecchi annunci sono spesso creati per guadagnare traffico da keywords targhetizzate volutamente in modo poco rilevante e a basso costo a click.

Tali annunci sono di conseguenza poco rilevanti, ma generano comunque discreti volumi di traffico. Quando essi appaiono sui partner di Google, spesso questi si lamentano. Messaggi poco rilevanti creano una pessima user experience e degradano la percezione di serietà del sito da parte degli stessi utenti.

PREVENZIONE PER UNA QUALITA’ MIGLIORE – I continui cambiamenti sul Quality Score da parte di Google servono a controllare meglio i comportamenti di annunci poco rilevanti, a prevenirne velocemente la pubblicazione e nel caso peggiore a buttarli subito in fondo alla lista di inserzionisti.

La coda di annunci è oramai così ampia che Google si può permettere di non far mai andare offline nessun annuncio – dal 16 settembre 2008 è così -, anche quando esso sia irrilevante: i pochi click che esso riceve non danneggia (quasi) nessuno.

Ma il controllo di questi annunci non è ancora sufficiente e le lamentele crescono. Poichè Adsense in primis è il sistema di monetizzazione più ampio al mondo (di internet), problemi di qualità che anni fa erano tollerati (si preferiva guardare ai soldi) oggi diventano invece fastidiosi.

La stessa qualità che Google pretende da tutti, ora è pretesa anche dai publisher più piccoli. Mi aspetto presto altri interventi sul Quality e sul sistema di publishing degli annunci di Adsense, block list più veloci per i publisher e controlli di rilevanza sempre più veloci. Dopotutto lo spider di Google passa sempre più velocemente sulle pagine di ogni sito; può farlo benissimo anche quello di Adwords.