Mainly Internet business, but also life mysteries and videogames

Categoria: Internet e Business (Pagina 5 di 6)

I Miei Post basati su qualche forma di ragionamento e di esperienza

Siamo tutti una Technology Media Company

Siamo tutti technology media company. E di “Media” pensiamo di saperne parecchio. Ma di Technology?

E’ indubbio che la tecnologia è una componente fondamentale per il successo delle aziende che operano su internet.

La stessa Yahoo si definiva anni fa Tecnology and Media Company e Google ha vinto la prima battaglia grazie a tre elementi palesemente tecnologici: “velocità” (bassissimi tempi di risposta), “potenza” (miliardi di documenti indicizzati) e “rilevanza” (il pagerank e la sua applicazione).

Un’ottima tecnologia è però condizione necessaria, ma non sufficiente per un buon servizio online. Serve anche il “controllo” sulla stessa. Essa è così importante nel vostro business plan, che dovete sapere come viene gestita.

Per questo i responsabili tecnologici di un progetto internet dovrebbero essere assolutamente qualificati, se non addirittura parte dell´idea stessa. Basta ricordare Wozniak di Apple, Allen e Gates di Microsoft, McNealy di Sun, Brin di Google, etc. Ma il controllo della qualità della tecnologia è spesso reso difficile dalla poca disponibilità di risorse e da delivery di progetto inderogabili.

Quanto vi fidate del vostro responsabile tecnologico? E’ giusto dare massima fiducia? Tenete conto che presa una direzione (piattaforme, server, ambienti, reti, etc), non sarà più possibile cambiarla.

Technology Media Company Comic

Technology Media Company Comic

Alcuni degli errori tipici.

“Beware of third parties support”.

Affidare il controllo dei sistemi a società specializzate, sperando che le stesse siano veramente qualificate, per poi accorgersi mesi dopo che il balancing dei server è sbagliato, ma oramai il costo della banda è stato modellato al doppio per colpa di questa “incompetenza”.

“Peaks of Traffic”.

Sottovalutare le problematiche di picco di traffico. Tre volte il traffico non significa moltiplicare per tre il costo delle risorse e dei processi e i sistemi standard php, mysql, apache vanno conosciuti bene tanto quanto la gestione dei processi delle macchine; una competenza difficilissima. Per questo vi chiederanno sempre il doppio delle macchine realmente necessarie. Sembra costare meno, ma i sistemi non saranno mai al meglio delle condizioni.

“Traffic Reports”.

Avere migliaia di report sul consumo di banda, sui pacchetti errati, sugli IP che si collegano abusivamente, le porte TCP aperte, ma nessun che considera il fatto che una buon business oggi sfrutta sistemi come Google, Adwords, Adcenter, Yahoo in maniera così estensiva da rendere questi report inutili accroccaglie di numeri a meno che essi “conoscano” questi aspetti. Che strano, il report dell’housing (fa parte del servizio più costoso) continua a indicare sempre e solo gli stessi IP… sono quelli di Google. Ma vengono calcolati come traffico “normale”, falsando forecast di consumo, costo e stime delle risorse. Servire pageviews può costare parecchio (anche +100% nel business plan) per colpa di questi report.

“Simple is better”.

Perdere di vista le cose più semplici. Un’immagine? E’ una jpg, lasciamola tale e mettiamola su di un server destinato a servire immagini. Invece, poichè tale gestione può essere troppo “system dependent”, gli sviluppatori portano le immagini nel database e scrivono codice per stamparle, creando giganteschi file di dati e un codice che viene eseguito migliaia di volte per stampare le foto sul sito. Peccato lo stesso introduca stressing sui sistemi, limiti il numero di processi aperti (quindi si ritorna ad un problema di “system”) e persino bug che una <img src> non avrebbe certo creato.

“Speed is a key to success”.

Performance… il grande sconosciuto. Per fortuna Google ha svegliato un pò tutti quanti, insegnando che performance significa “successo”, altrimenti saremmo ancora a dare tutto in pasto alla FULL TEXT di MySql e sperare di avere un result set come quello di Google. Troppo spesso si pensa che i tool a disposizione risolvano i problemi da soli. Se MySql o SQL Server *non* sono diventati Google, un motivo ci sarà nelle loro capacità di Indexing, Ranking e Rilevanza…

“Schedule Time”.

Assicuratevi che le risorse tecniche siano gestite bene. Assicuratevi che il vostro Responsabile sappia gestire il suo tempo e il tempo degli altri. Spesso non sa gestire il suo tempo. Che sappia allocare un tempo (medio) per le emergenze nei suoi diagrammi (più serve tempo imprevisto e più ne tenga conto nelle  pianificazioni e meno ne serve e meglio distribuisca il “gap” di emergenza nei prossimi plan) e infine moltiplichi sempre per 2 tutto quello che dice del suo impiego e per 3 per il tempo degli altri.

Insomma, se il vostro progetto è tecnicamente critico, abbiate sempre un modo di controllare il valore della tecnologia che producete.

Non abbiate timore di chiedere e farvi spiegare i dettagli dei processi e di poterli confrontare con esterni. E’ importante che il team tecnico vi dica “come fare le cose” e non “che non si può fare”; spesso quest’ultima risposta è solo di comodo.

Banking Crisis for Dummies

La crisi economica di questi giorni e’ sempre piu’ una discussione popolare.

Oggi, quasi tutti quelli che ho incontrato, me ne hanno parlato, parenti compresi. Le vicende sono quotidianamente trattate dai media e le domande sorgono da parte di tutti.

Quella ricorrente e’: “Perche’ c’e’ questa crisi?” e posta da chi fa la spesa al supermercato non trova una risposta di immediato accesso. Pertanto, dopo l’ennesima domanda di oggi, ho deciso di rispondere con un esempio molto semplice, for dummies, io stesso che sono dummy di finanza.

La versione da “Supermercato” della Crisi for Dummies.

Paolo fa un mutuo che vale 1, restituira’ 2.

Mario fa un prestito che vale 1, restituira’ 2.

La Banca di Paolo cede l’1 che avra’ alla Banca Centrale.

La Banca di Mario cede l’1 che avra’ alla Banca Centrale.

La Banca Centrale presta 2 a Sergio.

Poiche’ la Banca Centrale presta soldi futuri, paga interessi alla Banca di Mario e di Paolo. La Banca di Paolo avra’ 1,1 degli 1 prestati e la Banca di Mario 1,1 invece di 1. La Banca Centrale avra’ 3 da Sergio e paghera’ tutti i debiti (2,2) e guadagnera’ 0,8.

La vita e’ difficile, la benzina aumenta e Paolo non paga una rata e Mario non paga una rata. Allora i 2 di Sergio non esistono e la Banca Centrale chiede altri prestiti.

Anche la Banca di Paolo e la Banca di Mario chiedono prestiti per continuare a servire altri clienti in attesa che Paolo e Mario paghino e che la Banca Centrale paghi il suo debito che ritarda.

Quando Mario e Paolo non pagano come previsto e sono n utenti, il sistema va in crisi. Se le Banche chiedono e prestano troppi soldi per sorreggersi l’una l’altra puo’ succedere di non fidarsi piu’ di una Banca — visto che non restituisce i prestiti — e di lasciarla al suo destino: il fallimento.

Ma in maniera piu’ estesa, ecco il “Perche’ della Crisi delle Banche for Dummies”.

Quando fate un mutuo per una casa, un’automobile o un televisore, la banca applica un interesse alle vostre rate in funzione di quanto siete a rischio per i pagamenti delle stesse. Piu’ siete inaffidabili e piu’ alto e’ il tasso da pagare.

Per la banca e’ un successo se l’interesse stipulato e’ alto poiche’ essa guadagna piu’ soldi. E’ obiettivo di chi vi stipula un contratto accordarsi per poche rate, ma ancora meglio avere venduto con tassi alti. Avere rate con elevati interessi e’ praticamente il “core business” delle banche.

Negli ultimi anni il numero di mutui erogati e’ aumentato vertiginosamente includendo tra i clienti un bacino di utenti piu’ rischioso (e piu’ gradito), aumentando la media degli interessi erogati e pertanto i guadagni, ma di conseguenza, eppure meno importante, i rischi di poter recuperare le rate.

Addirittura, il fatto di non pagare una rata e’ un ulteriore guadagno, poiche’ alla fine pagherete di piu’  visto che ci sara’ un interesse ulteriore; e se non pagherete del tutto, be’ il bene e’ comunque liquidabile e non ancora vostro.

Nello stesso processo, appena la banca ha in mano il vostro mutuo, ne piglia il potenziale valore e lo investe oppure lo presta.

A chi li presta? Ma semplice! Li presta a voi, che chiedete un prestito per pagare il mutuo poiche’ le rate che avete accettato di pagare con i relativi interessi sono diventate nel frattempo troppo impegnative e non potete non pagare per i vestiti dei vostri figli, il pane per la vostra famiglia.

Alle banche tutto questo piace: saltate una rata del mutuo, pagherete di piu’, chiedete un prestito rischioso, pagate di piu’ del normale, ma i soldi non vi sono negati se in prospettiva potrete restituirli in qualche modo.

Ma come? Le banche prendono il vostro muto e lo vendono ad altre banche le quali prestano quei soldi alla stessa gente che chiede un prestito per il mutuo? Si’, e secondo Fannie Mae e Freddie Mac — da loro in America dipende l’erogazione dei mutui — tutto questo andava (molto) bene, anzi come dicono nei loro report “is safe and guaranteed“.

Tra i “guaranteed” c’e’ che il sistema bancario rivende ad altri il tuo “debito” non in una unica trattativa, ma in diverse forme, pacchetti di investimenti di varia natura economica e ovunque nel mondo, diminuendo i rischi di un vostro potenziale mancato pagamento.

Questo insomma funzionerebbe se non fosse che il vostro mutuo e il vostro prestito diventano pero’ insostenibili e le rate che non si pagano iniziano ad essere troppe da parte di troppi.

Cosi’ tante che le stesse banche incrementano il numero di prestiti tra loro stesse per coprire i rispettivi mancati incassi (“shortfalls”) trattando tra di loro con lo stesso intento di avere tassi alti il piu’ possibile (ricordate, e’ il “core business“).

Lehman Brothers non ha piu’ trovato prestiti perche’ nessuno si fidava piu’ della stessa e non voleva piu’ dargli soldi ed e’ fallita.

Il fatto reale e’ invece che i veri ad andare in shortfall sono proprio i clienti; la benzina sale, il costo della vita sale, il salario si adegua in modo piu’ lento ecc… E’ palese che il sistema strozza i clienti che alla fine non pagano.

Ora gli Stati Uniti e l’Europa (in modo diverso) tentano di comprare i vari “pacchetti” sporchi fatti dalle banche per eliminarli e garantire la copertura dei shortfalls piu’ evidenti, ma il punto chiave e’ che in realta’ si dovrebbe rivedere questi interessi e dire ai clienti che e’ possibile rifare il mutuo con tassi di interesse minori. Ma questo tocca il “core business“, non fa guadagnare nessuno e non si puo’ fare.

Se la Crisi Economia deve preoccupare tutti, la risposta e’ si’.

Una banca con meno soldi significa meno prestiti ai privati e alle imprese, meno possibilita’ di gestire la cassa da parte degli imprenditori e delle associazioni, piu’ necessita’ che senza contanti si debbano tagliare i costi e quindi i salari. Meno salari, significa meno pane e libri per le famiglie.

Ebay dice che deve tagliare dei costi (1,000 posti di lavoro) per poter continuare ad investire.

Google Vice President UK Dennis Woodside dichiara che in Google va tutto bene e che non soffriranno della crisi anche se i budget dovessero essere tagliati, nel senso che comunque cresceranno di piu’ degli altri media (e non vuol dire che non soffriranno). Un messaggio di circostanza e concreto nello stesso tempo, ma che lascia qualche dubbio.

Se quest’anno Google crescesse intorno al 15%, basterebbe per tranquillizare azionisti e media, abituati al 30% dell’anno precedente?

Dopo mesi di crisi, una minor crescita di Google verra’ letta correttamente, oppure verra’ pessimisticamente additata come una conseguenza inevitabile della crisi che pertanto perdurera’ e continuera’ a sfiduciare i mercati rimanendo sulle prime pagine di tutti i media?

Amazon mp3 e iTunes di Apple

iTunes e’ uno dei piu’ grandi successi di Apple degli ultimi anni. Non economicamente, si intende, ma come concetto. Ha insegnato al mondo che la musica si scarica e si paga e che un buon servizio puo’ battere la diffidenza.

Benche’ Apple sia la prima a guadagnarci piu’ di tutti, in realta’ nessuno avrebbe mai scommesso sul futuro di Apple il giorno che una casa produttrice di computer per utenti elite annunciava un … mp3 player chiamato iPod.

Oggi Apple e’ il piu’ grande negozio di musica al mondo, vende piu’ di tutti gli altri negozi. Ha imposto le sue regole, il suo player e ora milioni di persone ne godono i servizi e i prodotti.

Ma le canzoni di iTunes sono protette e non possono essere copiate altrove, sono, come si dice in gergo, protette dal DRM.

Settimana scorsa alla presentazione del primo telefono basato su Android di Google, tra le righe si legge che uno dei servizi inclusi sara’ quello di Amazon per il download di canzoni libere da DRM.

Ma come? Una cosa cosi’ importante tra le righe della presentazione di un altro prodotto? Ma un servizio di download musica DRM free e’ un cambiamento notevole. Inoltre legato ad un prodotto Android-T-Mobile.

Apple inoltre ha parecchie etichette musicali scontente della politica con cui Apple decide i prezzi delle canzoni e di quanto le case pigliano. Avere una alternativa e’ il loro sogno e questo permette ad Amazon di chiedere un prezzo piu’ basso di iTunes, ed e’ possibile che il margine di Amazon sia lo stesso di Apple.

Eppure Apple stessa offre DRM-free da iTunes a 0,30$ in piu’ per canzone, ma visto che non c’era concorrenza la base di canzoni e’ rimasta molto limitata e le etichette aderenti molto poche (e solo una! EMI).

Insomma, tutti quanti beneficeremo da una nuova impennata di concorrenti per Apple e qualche costo per noi utenti scendera’ e la qualita’ potra’ solo migliorare, il nostro telefonino avra’ sempre piu’ servizi musicali e integrati e iTunes diventera’ sempre piu’ invasivo (non lo e’ gia’?).

Ma Amazon e’ pronta per la sfida?

Apple ci ha messo anni a portarci l’iTunes Store su tutti i desktop e su iPhone, sia per Mac che per Windows; invece Steve Jobs e’ nella commisione Europea per stabilire regole del commercio elettronico tra Europa, gli stati europei e ovviamente si e’ parlato di migliorare il diritto di poter acquistare media digitali con piu’ facilita’ e da qualunque nazione.

Amazon iniziera’ con il mobile (Android compatible), anche perche’ un’applicazione Apple e’ gia’ presente sul mio Mac e sul mio Windows da parecchio tempo, ma non mi viene in mente nulla di Amazon sul mio Mac; e per i cellulari? be’ quanta confusione di formati e sistemi, modelli e applicazioni…

Adobe: Save as… Webware application

Adobe (quelli di Photoshop e di Flash) e’ l’azienda che ha permesso al web e alle copertine di apparire belli come li vediamo. Come Microsoft e Apple, Adobe ha permesso al mondo dell’informatica di evolvere aspetto e design delle cose. Insomma, ha permesso alla comunicazione di comunicare meglio.

Adobe Products Icons

Adobe Products Icons

E’ interessante come anche per Adobe sia ora giunto il momento di fare un po’ di Webware.

Webware, applicazioni che per farti produrre usano il web e non piu’ solo il tuo pc; applicazioni che interagiscono con Myspace, Facebook, WordPress, iWeb, Flickr, iPhone, netbooks, mobile device, games e con il tuo sito e non piu’ solo con il tuo desktop.

Gia’ un anno fa Adobe dichiaravathe future is in software built around web-connected services“, perche’ media e comunicazione oggi hanno bisogno di parlare con molteplici audience e contemporaneamente. E il media oggi e’ la comunicazione su carta, ma e’ anche mobile, e’ web istituzionale ma anche quello “user generated” e in tutto questo Adobe e’ proprio il software per chi deve costruire la comunicazione tecnica di questi media.

Come per Microsoft e i suoi sviluppatori, il lavoro di un designer sara’ svolto anche grazie ad applicazione web-centriche con a disposizione community sempre piu’ grandi e specializzate.

E’ presto per pensare ad un software che scarica dal web moduli di codice solo per le tue necessita’? Non solo librerie, ma intere caratteristiche del prodotto. Macromedia usava gli Xtra, dei plugin tanto essenziali quanto indispensabili che espandevano le applicazioni. Ora Macromedia e’ di Adobe.

Dopo tutto anche Microsoft ora sposta il mirino da .NET (troppo server centrico) a Silverlight, “la tecnologia che abilita a nuove esperienze multimediali sul web”, molto piu’ user e web centrico e che parla la lingua dei Social Network.

Insomma, per Adobe ogni software dovrebbe permettere di integrarsi con il web e di fartelo creare secondo la migliore esperienza possibile e nel modo piu’ semplice e veloce possibile.

Anche Apple ci prova con il suo iLife (senza molta enfasi per ora, ma non sta disattenta) o con iTunes (per ora solo orientato e pronto alla musica e ai film).

E di Google e’ Gear lo stesso progetto come in Adobe e Microsoft. “Google Gear e’ il progetto open source che permette la realizzazione di applicazioni web piu’ potenti attraverso l’uso del browser” e se il browser e’ di google, Gear diventa un vero e proprio sistema, una webware da innumerevoli possibilita’ in cui costruirci il tuo prossimo progetto web-centrico e mobile compatibile.

E’ giusto che sia cosi’; dopo tutto parecchi usano sempre di piu’ il Web e la mail, hanno un bookmark di se stessi e di altri da qualche parte sul web, un messenger, delle foto online e tante pagine web piu’ o meno obsolete. Decisamente “Salva come file…” e’ troppo poco in un pacchetto software oggi.

Parecchi anni fa un mio caro amico, Jarno Zaffelli, mi parlo’ di una (sua) patent sul metodo di aggiornare pacchetti software, come Photoshop ad esempio, attraverso il web, grazie al quale dal web ti arrivava quello che ti serviva, scadeva dopo che lo usavi se ti serviva per poco tempo o ti durava quanto volevi. Non compravi 2660,79€ di software, solo quello che ti serviva per quanto ti serviva.

Sara’ cosi’?

Will Photoshop do this one day?

Will Photoshop do this one day?

Dopotutto se io voglio fare un menu’ pulldown in Ajax per la mia pagina su Facebook, non voglio comperare tutta la suite di Flash, eppure pagherei per un giorno d’uso di un widget che mi permetta di farlo con lo stesso risultato, il cui codice, magari, mi arriva in gran parte da “Adobe Max”, la community di Adobe.

Speriamo il webware sia anche questo.

Internet: una volta scritto, e’ scritto per sempre.

“Once you write, it’s written forever”.

Una volta scritto, e’ scritto per sempre. Oggi vale ancora di piu’, con Internet se lasciate una firma, state sicuri che da qualche parte viene archiviata e per come e’ la politica degli editori, nessuno avra’ intenzione di cancellarla.

Non parlo dei log, dei cookie, parlo dei vostri commenti, dei vostri post, di una vostra mail, di un vostro documento, un documento che vi rappresenta o vi coinvolge, un feedback, un respiro…

E’ internet che rende tutto questo possibile.

Qualche settimana fa, in un gruppo di discussione pubblico chiamato “comp.sys.apple2“, quello in cui si discute spesso di un passato fatto di gloriosi Apple 2, scopro per caso che sta procedendo un thread con titolo “Really good Apple IIGS sound/music?“. L”Apple IIgs fu un computer del 1986 di Apple dotato di incredibile capacita’ audio per i tempi in cui fu rilasciato.

Ebbene, nella discussione ad un certo punto si nomina una “demo” (= applicazione che dimostra capacita’ grafiche e/o musicali o preview di un gioco) di un gioco chiamato The Secret of Monkey Island Demo in cui sono contenute delle “really good apple Iigs music” e la discussione ne porta a conoscenza i lettori e ne viene messa a disposizione una copia per il download, nonche’ la musica in mp3 convertita dalla demo stessa.

Be’ lo stesso autore della demo non aveva a disposizione miglior soluzione per la propria musica, e non puo’ che ringraziare.

A 18 anni di distanza, la demo e le musiche sono state fatte dal sottoscritto nel 1990, solo Internet poteva conservare una memoria cosi’ perfetta e precisa. E’ emozionante come oggi tutto sia facilmente accessibile.

Certo, accessibile nel bene e nel male. Parlando con il mio collega Nicolo’, di lui tra le varie pagine c’e’ indicizzato una questione — a suo favore — ma che lui vorrebbe non vedere in prima pagina di Google, eppure c’e’.

Se vuoi consultare un Curriculum di qualcuno, un paio di ricerche direi che sono la risposta migliore.

Google Groups: Qui la discussione sulle musiche di 18 anni fa …

Apple 2 Info: Qui il sito che ospita la musica e la demo

Yahoo!, la botte e’ piena e gli azionisti ubriachi.

Sono d’accordo con Microsoft quando sostiene che l’accordo Yahoo-Google sia da bloccare per un semplice motivo: la concorrenza porta sempre benefìci ai consumatori

Quando Google potra’ dire di avere il 90% della reach pubblicitaria, indipendentemente da come Yahoo! tenta di venderci l’accordo, c’e’ il pericolo di non poter piu’ scegliere.

Lo e’ gia’ oggi. Come Google abbia strappato la leadership a Yahoo! negli anni precedenti e’ sicuramente piu’ merito di Google che colpa di Yahoo!, ma oggi lo scenario di Internet e’ quello di individuare Google come quasi l’unico media pubblicitario da utilizzare e, se non l’unico, di sicuro il primo.

E quando questo media produce risultati eccellenti e porta un parco clienti sempre piu’ grande, be’ c’e’ poco da fare, diventa il media di riferimento per ogni budget e gli altri diventano qua dei tentativi, “Facciamo una prova”, giusto perche’ conoscere un solo fornitore non va mai bene.

Ora Yahoo! passa dall’essere un acerrimo concorrente di Google ad un partner: si riorganizza chiamandosi Media, sostiene di avere la leadership nel Display Advertising, e si arrende alla Paid Search di Google. Finalmente un po’ di pace per loro; basta Google Google Google in caratteri rosso sangue ovunque sui muri. Lo chiamano un “test”, e’ vero, e’ limitato a USA e Canada, ma solo perche’ va fatto digerire, ma una volta che Yahoo! vedra’ le proprie revenue aumentare del 30%, un potenziale devastante davanti e azionisti finalmente placati e contenti, be’, non sara’ certo Yahoo! a fare un passo indietro.

Il costo a click per le parole chiave e’ deciso dai “clienti”, questo sostengono gli inventori del mercato. E’ vero, ma le tecniche per farlo aumentare dipendono anche da loro stessi e vi assicuro che e’ un impegno continuamente attivo.

Il mercato e’ infatti condizionato dal prodotto stesso e da come viene presentato. Paghi di piu’ perche’ la qualita’ richiesta per stare in cima e’ cambiata, paghi di piu’ perche’ la posizione si chiama Premium, paghi di piu’ perche’ ora siamo capaci di far ruotare meglio i messaggi pubblicitari e il tuo non va bene perche’ e’ sempre lo stesso, paghi di piu’ perche’ il tuo sito e’ lento e quello degli altri no.

Quando il media pubblicitario e’ solo uno ed e’ solo quello, o paghi il bid o paghi in tecnologia, e visto che non si vuole perdere i clienti, prima si accetta di pagare il bid, poi si lavora sul resto, ma ore/uomo sono comunque e se alla fine devo scegliere con chi lavorare visto che il tempo e’ un costo per tutti, allora val la pena concentrarsi sul fornitore migliore.

A Yahoo! questo “test” piacera’ cosi’ tanto che riterra’ inutile continuare a innovare per la ricerca sponsorizzata? L’outsourcing a Google e’ meglio che continuare a pagare centinaia di persone che producono il 30% di meno di un accordo?

Benche’ per i grandi competitor e’ comunque normale avere accordi in alcuni settori, mentre si produce concorrenza nei settori principali, qui le due aziende hanno solo un modello di revenues e Internet e’ ancora cosi’ giovane da non potersi permettere un “monopolio”.

Per evitare che Yahoo! sia attratto e inebriato da questa strada piena di soldi (senza vendersi a qualcuno), e’ meglio che qualcuno li fermi ora. Perche’ dopo non sono sicuro che Yahoo! voglia tornare indietro.

Il nuovo Adwords Quality Score

Da oggi Google ha cambiato il metodo con cui calcola il Quality score delle keywords che vengono comperate in Adwords.

Per i neofiti, Adwords e’ il sistema di Google che permette di acquistare parole chiave (“keywords”) della gente che cerca e per le quali visualizzare un annuncio pubblicitario (“Ads”). Il Quality Score e’ un sistema matematico di Google che tenta di stabilire se il tuo annuncio e il tuo sito sono rilevanti per chi cerca, in base al fatto che la rilevanza migliora la conversione e l’esperienza degli utenti.

Negli ultimi mesi Google ha introdotto numerosi controlli per che gli permettessero di ottenere:

eliminazione di keywords ritenute non rilevanti;
eliminazione di siti o singole landing page ritenuti di poco valore aggiungo per gli utenti.

Il sistema, in parole semplici, agiva in questo modo. Una keyword viene misurata contro le performance del mercato e del settore a cui appartiene e acquisisce quasi immediatamente un quality score parziale. Poco dopo il classico ClickThrough Rate (quanto un annuncio viene visitato), l’unico fattore di Qualita’ di anni fa, stabilisce se la soglia minima va corretta al ribasso o al rialzo. Nel tempo in cui tali score si aggregano, e’ stabilita la qualita’ finale della keyword e di conseguenza il suo “minimum bid” (quanto pagare al minimo per apparire).

Successivamente ulteriori modifiche possono applicarsi.

– Se il numero di keyword di poca qualita’ e’ elevato rispetto al numero totale di keywords caricati per quel sito , l’intero sito e’ declassato indistintamente dagli Ads rilevanti;

– se lo spider di google (Adsbot e sue deformazioni), dopo avere analizzato il sito/landing page, stabilisce uno score “algoritmico” inferiore alla media delle pagine simili, oppure il sito rientra nelle “black list” (contenuto duplicato, affiliazione, landing page solo commerciali, no added value per gli utenti sul sito, solo adsense presente, etc), la qualita’ della keyword e’ diminuita (ovvero si paga di piu’ per apparire);

– se l’account in cui risiede il sito subisce abbassamenti di qualita’ piu’ volte e in piu’ siti, l’intero account e’ piu’ facilmente declassabile;

– se un “editor” segnala il sito tra quelli che violano le regole editoriali e di qualita’ aggiuntive (sito porno camuffato, servizi a pagamento senza avviso, arbitraggio etc), esso viene ulteriormente declassato.

Tutto il processo porta keyword da una qualita’ Eccellente ad una Poor (i passaggi sono identificati da bid minimi a valore fisso e ricorrente sempre piu’ alti) fino ad un valore Poor finale di 8€/5£ (o 10$) e il sito e’ detto “penalizzato“.

Tale sistema permette a Google di:

– aumentare la qualita’ delle inserzioni in prima pagina e nelle successive;

– evitare siti duplicati sulle stesse keywords;

– eliminare i “bad sites”;

– far salire il bid medio laddove il Poor non era tale da bloccare una campagna e il cliente si permette di pagare di piu’ per ottenere i risultati di prima.

Infatti, benche’ a Gennaio-Febbraio 2007, Ottobre-Novembre 2007 e Giugno-Luglio 2008 siano stati applicati fortemente queste regole a bacini di clienti sempre piu’ ampi, il fatturato di Adwords e’ calato soltanto nel primo frangente (la causa fu indicata nei budget di grandi agenzie lenti a ripartire). La realta’ e’ che in effetti togliendo clienti pessimi, i clienti buoni ricevono subito piu’ visite e spesso tali incrementi non sono indesiderati, anzi. Solo budget prestabiliti pertanto rischiano terminazioni anticipate, comunque successivamente apprezzate in maggior possibilita’ nei mesi successivi.

Ma benche’ queste regole di Qualita’ fossero inderogabili per chiunque, in realta’ anche gli algoritmi di Google possono sbagliare (in eccesso di declassamento) e il cliente di Adwords non accetta di buon grado una situazione “declassata” se non prima parlando per qualche ora (con ampie obiezioni) con gli Account Manager in Google.

E poiche’ alcune delle regole di qualita’ sindacate in Google sono poco controllabili da parte del team di Adwords (che spesso le scopriva quasi insieme ai clienti stessi), a volte una penalizzazione poteva venire, come dire, … cancellata o il sito poteva venire inserito in una specie di lista protetta in cui le regole aspettavano ad applicarsi.

E’ ovvio che tale sistema alla lunga diventa poco gestibile.

– I clienti protestano sempre piu’ spesso per la poca trasparenza delle regole;

– le risposte sono aleatorie e a volte smentite dalla successiva modifica degli algoritmi di adwords;

– agli errori di Google, se non c’e’ azione da parte del cliente, non c’e’ voglia da parte di Google di accorgersi dello sbaglio;

– le keyword vengono messe offline, e benche’ a Google interessi la qualita’ delle top keyword e il loro min bid, la “coda” intanto cresce meno di quanto sperato.

Pertanto oggi Google cambia il modo con cui viene stabilita la bonta’ di una keyword.

Prima era il CTR medio relativo della keyword, ora la keyword apparira’ sempre e se dopo qualche mese una keyword pessima viene cliccata, essa viene riconsiderata. Inoltre prima la qualita’ era assoluta (una volta applicato il calcolo, si era dentro o fuori), oggi se la qualita’ e’ pessima, stanotte puo’ essere buona e domani l’attivita’ su di una keyword puo’ sufficientemente alta da fare tornare il min bid ai valori iniziali.

La penalizzazione prima era per ogni network di Google, la search per prima e poco dopo il content network (Adsense). Oggi invece e’ relativa, se una keyword non funziona su Google, essa puo’ ancora uscire sui siti affiliati (Virgilio ad esempio) o sul Content Network.

Infine non esiste piu’ il “min bid”; da oggi esiste il “min bid per essere in prima pagina” e tale valore e’ calcolato dalla Search, usando Exact Match di una keyword.

Tali cambiamenti, secondo Google, miglioreranno le performance di chi e’ qualita’ (secondo Google e merita un post a se’). Intanto e’ sicuro che chi prima capiva che una landing page non andava bene (leggendo un bid a 8 euro), oggi non puo’ piu’ capirlo, poiche’ il min bid si alza, ma non a tal punto e comunque il traffico scompare perche’ spinti in fondo nelle ultime pagine.

Invece di leggere “Eccellente, Povero, Buono” per le landing page (non per le singole keyword pero’), finalmente si leggera’ un numero (da 1 a 10).

Ecco un esempio di user panel di adwords. Se siete sotto al bid minimo della prima pagina, si leggera’ “BID IS BELOW FIRST PAGE BID ESTIMATE OF …” e il Quality Score della Landing Page sara’ QUALITY SCORE OK (x/10) e non piu’ “GREAT”, localizzato ovviamente nella vostra lingua.

New Adwords Quality Score

New Adwords Quality Score

Google ha sempre ragione…

Un post in Google News secondo il quale United Airlines (stock: UAUA) avrebbe perso un miliardo di dollari (sì, un Miliardo, $1B) ha fatto scendere il titolo da $12 per azione a $3, poi la notizia si è rivelata falsa, era del 2002, ma Google News la mostrava tra le notizie di oggi e, ovviamente, Google non sbaglia mai.

In realtà non sbagliava, la notizia era riaffiorata dai database di alcuni media americani per motivi tecnici (e non voluti) e lo spider di Google ha pensato bene di usarla senza controllare una data.

Forse chi legge doveva porsi qualche domanda, ma l’effetto Google ha lavorato molto sull’emozione dei traders occasionali.

Link alla notizia qui.

Microsoft, cashback e lo shopping CPA

Gianluca Carrera, un mio caro amico, in questo recente post fa interessanti osservazioni intorno a come Microsoft possa evolvere il proprio recente programma di Cashback, annunciato prima per lo shopping e poi integrato in Live Search.

E’ indubbio che Microsoft stia cercando di verticalizzare la propria search in piu’ aree in modo da contrastare Google. Se il cash back diventera’ un modello della Search come oggi noi la vediamo, non penso. Ma che possano esserci evoluzioni, e’ certo. Se ci limitiamo invece allo Shopping di Microsoft, secondo me, questo sara’ certo.

Microsoft recentemente ha acquisito Ciao.com, il portale dello shopping, un sito di 26.5 milioni di utenti al mese secondo ComScore e leader in Europa, Italia compresa, per l’aggregazione di prodotti, shopping comparison, review e opinioni della gente.

E’ stato proprio quest’ultima caratteristica, le opinioni della gente, a caratterizzare il successo di Ciao in tutta Europa e il successivo plug dello Shopping ha scaturito nel market place del confronto prezzi con maggior crescita negli ultimi anni.

In Europa, e’ altresi’ facile identificare Kelkoo nel principale shopping comparison per revenues e per brand (Kelkoo e’ di Yahoo!), eppure la piattaforma francese non e’ cambiata da parecchi anni, il posizionamento dei merchant e’ sempre piu’ lontano da quello che vuole la gente e le opinioni sono state sempre marginali (anzi, spesso minavano le relazioni con i merchant), benche’ accanto avessero il piu’ grande successo di Opinion Network mai realizzato negli ultimi anni — Yahoo! Answer — ma che nessuno e’ stato in grado di sfruttare ai fini dello shopping a causa delle debolezze e di Yahoo!, concentrato a crearsi un futuro migliore, e di Kelkoo, poco interessato a fare un nuovo business dopo la vendita a Yahoo!

Pertanto Ciao e’ diventato la piattaforma piu’ vicina alle esigenze degli utenti, portandola a farsi valere $486 milioni di dollari per Microsoft, dopo aver ricevuto una precedente valutazione di $426 milioni da parte di Quadrangle equity firm.

Ma Ciao.com e’ un tassello importante, eppure non sufficiente per Microsoft.

Tre anni fa, lo scenario dello Shopping dei Portali e dello Shopping Comparison per la precisione mostrava un disinteresse imbarazzante da parte di Google che era invece attratto solo dal migliorare la qualita’ del proprio bid (o max bid direi) e a togliere del tutto Yahoo! dalla piazza della Search (c’era tanto buzz intorno a Panama). In quel periodo Google Base veniva inserito nelle presentazioni, ma senza molta enfasi e in poco tempo il prodotto di Google fu rallentato in attesa di momenti migliori, anche perche’ l’e-commerce per Google valeva solo il 5% dei fatturati.

In questo empasse, fu possibile lanciare alcuni progetti startup di immenso valore strategico.

Uno “ambizioso” fu la startup Jellyfish.com, uno shopping comparison il cui modello era solo per CPA, annunciato ai media in pompa magna come la risposta ai marketplace CPC di Google e Yahoo!.

Ricevuto con poco entusiasmo dai media per alcune lacune del prodotto (che condivido), in realta’ il marketplace nascondeva un appetitoso sistema a CPA per i negozi che vi comparivano e un buon sistema di comparazione per gli utenti con parecchio Web 2.0 (forse troppo).

Il creare un mercato CPA puro per lo Shopping Comparison e’ il modo migliore per tentare di innestare un trend con il quale prendersi una fetta di un mercato della Search lasciato momentaneamente inerte.

Con un modello al 100% CPA, per Jellyfish era facile adottare inoltre una politica di cash back come esiste in ogni grande magazzino americano. Compri $100, ti rido $5. E il cash e’ di Jellyfish e non dei negozi che non pagano nulla di piu’.

Jellyfish dopo 2 anni trasformo’ il sito da shopping comparison a “Smack Shopping” comparison, ovvero un modo furbo per portare agli utenti solo prodotti il cui cashback aveva un buon valore per tutti, perche’ un cashback del 10% su di un cavo USB da $2 non e’ molto interessante, sfruttando l’idea delle aste al ribasso.

Lo “Smack Shopping”, tutt’ora in home page di Jellyfish.com, divento’ cosi’ redditizzio che il marketplace CPA — che non decollava come doveva — fu messo in secondo piano.

Ma il punto e’ che se hai il 10% medio di commisione dai merchant — gia’ ti va di gran lusso — la catena di conversione:

Acquisizione Utente -> Shopping Portal -> Merchant -> Sale -> Commission Back to Portal -> Cash back to User

lascia veramente poco per l’utente a meno che Jellyfish non dia quasi tutto all’utente, se non proprio il 100%, ma a questo punto come puoi portare un volume critico di utenti nuovi in un mercato in cui il costo medio di acquisizione a click e’ almeno di 0,05$ per click? Quanto tempo serve per arrivare a break even?

Per diminuire il costo di acquisizione, praticamente lo Smack Back divenne il prodotto core del modello di business di Jellyfish, in attesa che il resto del marketplace (migliaia di prodotti di centinaia di merchant) crescesse di sua sponte (organicamente? ma nessuna attivita’ di contenuto o social e’ stata sviluppata).

Microsoft che compra Jellyfish e’ esattamente quello che Jellyfish sperava di avere: molto piu’ traffico, un bel costo di acquisizione ridotto per gli utenti nuovi e soprattutto tornare con il prodotto core originale in prima linea, quello del mercato shopping comparison CPA puro.

Per Microsoft, Jellyfish e’ una piattaforma CPA gia’ avviata, qualche patent sul cashback, un acceleratore della propria strategia di verticalizzazione della Search e un potenziale mercato di negozi online mal sfruttato da Google.

Infatti a Ottobre 2007, Microsoft compra Jellyfish.com per $50 milioni, un “bargain” per avere un prodotto ecommerce full CPA, qualche centinaio di contratti di merchant, una piattaforma web 2.0 discutibile (ma molto bella per lo standard Microsoft), un sacco di utenti registrati, ma un solo mercato (USA).

E ora?

Be’ e ora sono chiarissime due cose.

Microsoft vuole portare il modello di business di Jellyfish.com nello shopping di Live Search in modo da creare un market place competitivo in alternativa a Google CPC e Yahoo! CPC, usa Ciao.com per l’Europa e Adcenter per creare i tools per i merchant, nello stesso tempo prende la parte Opinions di Ciao.com e la aggrega a Jellyfish/Live Search creando il volano di traffico organico che Ciao.com ha dimostrato di poter creare in Europa e che certo male non fa.

Ma il modello funziona?

Il bid che Jellyfish era abituato a pagare su Adwords ora e’ gratuito e arriva da Live.com, quindi i volumi “critici minimi” per far funzionare il marketplace dei merchant sono garantiti. Ciao.com garantisce altro traffico a costo zero (non subito) dall’organico e in parte dall’arbitraggio che Ciao.com fa con Google in Europa.

E la catena di conversione del CPA e’ a break even? No, non lo e’. Per ora. Ma quello poco importa, e’ Microsoft, e’ Ballmer, e’ la Search contro Google, pertanto il business plan puo’ accettare qualche dilatazione e rientrare in 3 anni.

Per un merchant, la conversione media dai marketplace a CPC come Google, Yahoo/Kelkoo. Shopping.com va dallo 0,5% all’1.2%.

In questo modo non e’ possibile comprare a cpc e fare break even con il CPA, a meno che gli utenti siano fidelizzati e questi tornino da soli.

Qui entra in gioco il Cashback, Jellyfish paga l’utente nuovo il 400%, ma promettendogli un cash back lo fidelizza e puo’ abbattere il costo di acquisizione  nel tempo, e magari lo stesso gli clicca anche altrove, dopo tutto oragli utenti sono su Live Search e non c’e’ solo lo shopping.

Infine, che cosa succede se i merchant convertono a percentuali piu’ alte di quelle che riportano Google, Yahoo etc? Microsoft puo’ anche lavorare per far salire il tasso di conversione; o meglio, imparando dal Smack Shopping,  puo’ lavorare per generare uno scontrino medio transato sempre piu’ alto (insomma, i libri ci sono ma preferisce proporre Televisori al plasma).

Ebbene, secondo me Ciao.com + Jellyfish.com + Live Search e’ un ottimo prodotto teoricamente.

Ma ecco come puo’ fallire.

Limiti di Adcenter – Microsoft annuncia di voler integrare la parte client di Jellyfish in Adcenter.

E’ giusto, ma Adcenter e’ un prodotto che ha bisogno ancora parecchi cambiamenti affinche’ possa solo competere con Google.  Soltanto il fatto che non e’ multisessione (ovvero posso solo vedere una pagina alla volta) dimostra quando Microsoft abbia poca esperienza ancora sulle esigenze dei clienti.

Pochi mercati pronti per MSN (US, UK, FR) – La piattaforma Jellyfish va trasformata in piattaforma di Microsoft Shopping, aggiunto alla Live Search e Adcenter e in Europa i feed dei clienti di Ciao.com vanno portati nella stessa piattaforma.

Ma Ciao.com *NON* e’ un mercato CPA… i merchant vanno portati in Jellyfish e poi per ognuno vanno cambiati i contratti per aggiungere un commissione in contratto e un … tracker delle vendite.

Insomma il prodotto richiede parecchio tempo di rilascio e di integrazione e su alcune country non esiste nemmeno il prodotto, i contratti son da rifare a CPA e il cashback va messo in legalese (non tutte le country lo trattano in modo uguale, in Italia ad esempio – se mai ci fosse – e’ argomento dei Concorsi… ).

Tracking – il tracking dei merchant e’ cosi’ complesso e debole da poter compromettere un intero modello di business.

A prova di questo ci sono una lunga lista di esempi:

a) Kelkoo nacque a CPA, ma si trasmormo’ subito in CPC per frode da parte dei merchant;

b) Le tecnologie attuali perdono dal 7% al 10% delle vendite;

c) Se la tecnologia e’ un cookie, si utilizza il metodo “last cookie win” per attribuire una vendita, ma un utente per un merchant generato da jellyfish che ritorna sul merchant usando l’organico di google (che non e’ adwords) e’ spesso confuso come merito di adwords (perche’ il dominio e’ lo stesso di google organico) e pertanto una vendita in meno per jellyfish e una in piu’ per google;

d) Serve un tracking simile a Urchin, che quindi non sia solo nel carrello come fa ad esempio Tradedoubler, ma su tutte le pagine, ma non c’e’. Solo Google lo ha e se facesse un CPA come jellyfish,  dalla sua avrebbe gia’ sia Google Checkout per evitare di dipendere dai merchant e controllare la catena, sia Google Analytics che e’ in grado di dire di chi e’ la vendita (e tra google e un jellyfish chi scegliera’?)

e) Una volta mandato l’utente al Merchant, esso puo’ andarsene dal negozio per altri mille motivi come pagine lente, sito down, gateway del merchant che fallisce, prodotto solo prenotabile, etc, tutte condizioni di controllo solo del merchant e non di jellyfish.

Insomma, per fare un marketplace a CPA non basta possedere il Search Box.

Per fare un mercato CPA bisogna possedere il “merchant” (“il carrello”) e per farlo Google ha costruito Google Checkout e portera’ Google Analytic per un tracking definitivo quando non puo’ usare Checkout.

Con Google Checkout, Google possiede il merchant, anzi Google e’ il merchant. Con Analytic, la catena del valore da Google alla Transazione e’ garantita perche’ controllata. Analytic sapra’ tutto, dove ha perso l’utente, quanto converte il merchant A rispetto a B, perche’ A e’ meglio di B.

Insomma Microsoft puo’ avere tutte le carte per costruire un marketplace dello shopping unico e nuovo, posizionarlo nella Search e espanderlo in una unica piattaforma Adcenter-CashBack-Shopping aggregando nello stesso tempo migliaia di opinioni e schede prodotto uniche.

Ma ho paura che Microsoft rovini tutto questo, che mantenga le parti separate, che fallisca l’integrazione sopravvalutando le sue piattaforme e Adcenter e uccidendo quel poco di Usability che c’e’ in Ciao e in Jellyfish.

Qui jellyfish.com; qui ciao.com; qui live.com cashback (devi essere su Live.com USA).

Blog Etiquette?

Oggi Mauro Lupi mi ha piacevolmente linkato sul suo blog in questo post. Vista la mia “vasta” esperienza nel blog personale (neanche 7 giorni), praticamente e’ stato come ricevere persone a casa e non avere nulla da offrire di decente, oppure essere invitati a casa di altri e non avere portato un buon vino!

Allora ho cercato siti “autorevoli” che parlassero di Blog Etiquette o Blog Netiquette, insomma dei siti che mi confermassero che un buon saluto va contraccambiato con un backlink (e non con un commento da fare sotto al suo post), ma non ho avuto molte risposte. Gia’ il fatto che con due termini di ricerca ci siano due set di risultati diversi indica un po’ di confusione per il web stesso. Ci sono tanti siti che spiegano come si scrive, quando si scrive, come ci si firma etc, ma nulla di piu’.

Alla fine ho capito, faccio come per una visita cortese, come se fosse venuto di persona; ringrazio Mauro, lo sa che lo ammiro, e lo ri-linko, ringraziandolo come tra bloggers (e pensare invece che se fossimo dei SEO saremmo inorriditi da quello che stiamo facendo! Come search engine optimizer infatti dovrei linkare un sito suo che non sia il suo blog e se poi lui volesse aggiungermi di nuovo, non potrebbe verso questo mio blog per non creare un potenziale “anello” poco gradito dai motori di ricerca! …)

Be’ per oggi gli porto un buon vino alla blog-way. Domani si vedra’.

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