Mainly Internet business, but also life mysteries and videogames

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Di tutto e di piu’ sul web e su di me, ma niente di specifico.

Halloween 1 – Tutti i Santi 0

Un (brutto) logo pagano sulla home page di Google.it, che appare un pò si’ e un pò no su Google.com per problemi di replicazione di dati a quanto pare, per ricordarci come il mondo di internet sia ateo, freddo e “user generated content“.

Certo domani non mi aspetto un logo per celebrare invece il significato cattolico e gioioso del 1° Novembre; purtroppo non è una festa americana, non è nemmeno per tutti, è “solo” un valore di pochi e quanto meno per “internet”.

ACCORDO AAP – GOOGLE PER I LIBRI – Nello stesso momento Google compra la causa da parte dalla AAP, l’associazione che tutela i diritti degli autori di libri in America, e la rivende alla stampa come un accordo da 125 milioni di dollari per l’indicizzamento di tutti i libri che vogliano apparire in Google. O forse è stata la stampa a raccontarla in modo più piacevole per Google. Fatto sta che milioni di libri appariranno in Google.

DEAL YAHOO – GOOGLE AL TERMINE – Rumori intanto parlano dell’accordo tra Google e Yahoo! e del possibile abbandono dello stesso da parte dei due colossi. Forse il dipartimento americano dà ragione a Microsoft e di certo non sta sbagliando.

GOOGLE SPINGE IL LOCAL – Quello che è certo è invece quanto Google voglia investire sul local ancora di più e su tutte le attività di geo targeting, sui servizi locali e il local advertising.

In effetti questo è un prodotto che funzionerebbe bene in Maps, in Mobile e G1 e nella search con Adwords, quest’ultimo ancora l’unico prodotto con cui Google produce fatturato, e gli utenti sembrano poterne gradire l’utilizzo, finalmente.

HALLOWEEN 1 – TUTTI I SANTI 0 – Però domani vorrei poter non vedere il logo di Halloween per il mio 90% (quanti sono gli utenti internet che cercano con Google in Italia) di ricerche sul web. Già Papa Gregorio, per combattere la concorrenza di una festività celtica sempre più popolare e sempre più pagana spostò la festa cattolica dei morti dal 13 Maggio al 1 Novembre. Non credo che Papa Benedetto XVI oggi abbia tra i punti in agenda quello di “dare un messaggio alle 20 milioni di persone che vedono un logo pagano sulla home page di Google”. Eppure vorrei tanto vedere un logo di Tutti i Santi sulla home page dei siti che uso di più.

Lo vorrei davvero.

Buona festa (di Tutti i Santi)!

Google Burattinaio di Yahoo! e Shopping.com

C’e’ qualcosa che mi preoccupa di piu’ della Recessione Economica di cui tanto si tenta di non fare allarmismo, eppure Repubblica e il Corriere titolano a grandi colonne lo stesso titolo nella stessa edizione le dichiarazioni di allarme di Marco Draghi che oggi continua dicendo: “La crisi colpirà le famiglie”.

QUARTER DI YAHOO, SEARCH IN CALO – Yahoo! ha annunciato il suo Quarter. Buone — quasi inattese — le revenues da parte di Search Marketing (la search) anche se gli obiettivi erano stati ridotti  nei quarter precedenti, mediocri i segnali dati dal display advertising — ci si aspettava di più –, e tutti in attesa del profittevole deal tra Yahoo! e Google — quei $800m –.

Eppure l’accordo Y!-Google e’ ancora fermo, il governo e l’anti-trust chiedono ( anche Microsoft come dico qui ) piu’ tempo per le verifiche e intanto il tempo passa.

YAHOO LICENZIA – Yahoo! inoltre annunciera’ dei licenziamenti. Licenziamenti si’ anticipati ad inizio anno, ma che ora aumentano a un numero di parecchio oltre il migliaio, circa 1500 persone. Qualche giornalista italiano grida che e’ colpa della “recessione”; in realta’ la recessione e’ solo un fiammifero sul fuoco di Yahoo!.

Oggi sembra fare sicuramente piu’ gola l’offerta di Microsoft piuttosto che l’accordo con Google sulla Search. Personalmente preferisco uno Yahoo! autonomo, ovviamente, ma Ballmer insiste.

GOOGLE UN TROJAN HORSE – La mia preoccupazione e’ che uno Yahoo! agonizzante non faccia piu’ concorrenza a Google. Google ha solo vantaggi a far partire l’accordo con Yahoo!, di revenues e di “collaborazione”. In realta’ Google e’ un trojan horse, a meno che Yahoo! chieda a Google sottobanco un 20% in piu’ di traffico dalla search algoritmica, per fare andare di piu’ il Display Advertising, tenere Yahoo! lontano da Ballmer e dare del tutto la search a Google.

Ma Google ha gia’ fatto un morto.

SHOPPING.COM DI EBAY IN DIFFICOLTA’ – Ecco che cosa dice Shopping.com (societa’ di eBay) per il suo Q3: “Our online comparison site, Shopping.com, was significantly impacted by changes made by search engines that disrupted shopping’s traffic this quarter. This business decelerated sharply in Q3, impacting marketplace’s revenue growth by about a point” e continua dicendo che per almeno 3 Quarters (9 mesi) tale declino non si recupera (Souce eBay Q3).

“Search engines” dicono, per non scrivere “Google”.

Per recuperare parte della perdita, Shopping.com annuncia di non accettare piu’ “merchants”. Ma come? Basta clienti? E’ come se il supermercato non accettasse piu’ fornitori! Come se Yahoo! non accettasse piu’ clienti! Eppure avrebbe un senso: con il crollo del traffico, il click da dare ai clienti sono diminuiti ed e’ meglio mandarli su meno merchant e che magari paghino di piu’.

Infatti, Shopping.com ha anche annunciato di alzare i bid minimi di categoria; vuol dire che per entrare si deve pagare di piu’. Shopping.com e’ un motore di ricerca a confronto prezzi che fa pagare a click.

GOOGLE LA CAUSA – E la mia preoccupazione? E’ che tutto questo dipende da un solo attore, Google, lo stesso che vuole farsi amico Yahoo!, ma che invece sta lentamente mettendo in agonia; lo stesso che dipinge Microsoft come il sith di internet (e’ vero, ma e’ un Sith anche Google quando si parla di soldi e Jedi in tutto il resto che non fa soldi). Chi e’ un Sith? Un essere malvagio.

Perche’? Perche’ e’ Google a togliere il traffico ai partner di Yahoo! – e quindi ai clienti di Yahoo! – e a Shopping.com. Lo toglie secondo questo semplice piano sith: “Tu hai dei clienti che invece possono stare su Adwords e non da te? Ci penso io, tu non piaci e ti tolgo da Adwords — Ci vuoi stare lo stesso? Allora paga molto di piu’ perche’ sei brutto”.

La mia preoccupazione non e’ che Google stabilisca regole di qualita’ insindacabili e scorrette, ma che nessuno possa essere l’alternativa a Google per fare advertising.

Yahoo!, search in eliminazione e display rallentato. Ebay, shopping.com massacrato. Microsoft, piagnucolosa senza soluzioni nella search.

Who next?

Lucasarts verso il fee-based online gaming con Star Wars

Sith o Jedi? So gia’ che molti di voi vogliono stare dalla parte malvagia dei Sith!

3500 anni prima di Luke Skywalker, oggi la californiana Lucasarts (quelli di Star Wars, di Monkey Island) e la canadese BioWare (quelli di Baldur’s Gate e Mass Effect) annunciano “Star Wars: The Old Republic” un gioco di ruolo online in tempo reale basato ovviamente sulla storia di Guerre Stellari.

LA STORIA FA LA DIFFERENZA – E’ proprio il co-fondatore di BioWare, societa’ di Electronic Arts, Ray Muzyka a sottolineare che a differenza di tutti i giochi di ruolo online oggi disponibili – come World of Warcraft o Warhammer – e’ proprio la storia a fare la differenza in questo gioco. L’interazione tra giocatore e storia sara’ molto piu’ evidente e coinvolgente e, sempre secondo Muzyka, non si svolgeranno missioni senza saperne il motivo.

Le poche immagini mostrano i tipici paesaggi alla Guerre Stellari con Jedi che combatto e Spade Laser che si scontrano. Pochi i dettagli e nessuna data di rilascio.

FEE BASED ONLINE GAME – Sul modello del successo di Blizzard-VIvendi, World of Warcraft, anche Star Wars The Old Republic sara’ un gioco on-line a pagamento mensile. Si potra’ scegliere di essere i buoni Jedi oppure i cattivi Sith (anche se un Sith buono potra’ esistere comunque), di giocare con migliaia di altre persone contemporaneamente e di avere un proprio compagno, come e’ stato Chewbacca per Han Solo.

Con l’arrivo di Lich King di Blizzard e sempre piu’ segnali positivi dall’online gaming (si parla di un 10% delle revenues del settore – ovvero 1,1 miliardi di dollari per il 2008 per l’intero settore on-line, Asia compresa), e’ ora che Lucasarts si giochi il suo prodotto piu’ prestigioso per entrare in questa “arena”. 

Personalmente dalle immagini rilasciate vedo pochi dettagli degli ambienti del gioco; visto che sono dei mondi virtuali, spesso gli utenti si aspettano veramente di interagire con qualunque cosa, oggetti e ambienti e non solo di fare missioni o crescere il proprio personaggio.

Tanto lavoro da fare e molti fan ansiosi di vivere personalmente le scene fino ad oggi viste solo nei film.

E’ LA RINASCITA DI LUCASARTS? – Lucasarts, un’etichetta prestigiosa di Lucasfilm Ltd. di George Lucas, annuncio’ l’anno scorso una ristrutturazione a seguito di alcuni anni di poco successo e di progetti mediocri. Dopo tale cambiamento, Lucasarts annuncio’ di volersi focalizzare su pochi titoli, ma di estremo e longevo valore. Dopo il recentissimo e ottimo Star War Il – Potere della Forza, primo titolo della “rinascita”, oggi entra nel lucrativo mondo della paid subscription insieme a BioWare, societa’ capace di produrre elevata qualita’ il cui Mass Effect, gioco di fantascienza pubblicato da Microsoft, e’ finito sul tavolo del produttore Avi Arad, ex CEO di Marvel.

Google Checkout, il sistema di pagamento di Google.

Google Checkout e’ il sistema con cui Google permette ai negozi di vendere prodotti online e nello stesso tempo permette agli utenti di fare acquisti online. Nato nel 2006, entra subito in competizione con il leader Paypal di eBay, ed entrambi oggi affiancati anche da Amazon Checkout.

Tutti e tre i servizi permettono di vendere prodotti in cambio di una fee fissa e di una percentuale sul venduto, e la battaglia tra i tre e’ proprio sulle commissioni e gli incentivi dati agli utenti.

Ma dopo due anni a che punto e’ Google Checkout?

PAYPAL SEMPRE LEADER – Al Q1 del 2008, negli Stati Uniti, il 55% degli shoppers online utilizza Paypal, contro un 6% che usa Google Checkout e un 7% che usa Amazon Checkout. Piu’ della meta’ che ha usato tutti e tre i sistemi dice di preferire Paypal (57%), ma l’83% preferisce comunque usare la propria carta di credito e nessuno dei sistemi indicati (Source: JPMorgan Internet Team 2007 Consumer Survey)

Limitandoci solo ai Merchant, i negozi che offrono sia Paypal sia Google Checkout riportano che senza promozioni il 5% usa Google Checkout, mentre il 10% usa Paypal.

Di principio, per i merchant proporre agli utenti uno o l’altro sistema non e’ un problema, se l’utente vuole pagare con un certo sistema, il negozio si adegua e lo implementa.

Nel periodo natalizio del 2007, in UK Google Checkout offriva bonus da $10 a $50 per chi utilizzava Google Checkout, una campagna di marketing aggressiva che porto’ il sistema del gigante di Mountain View a superare Paypal per il mese di Dicembre 2007. Ma appena terminata la promozione, Paypal torno’ ad essere il piu’ utilizzato.

ANCHE GOOGLE POCO SODDISFATTO – Insomma, pochi dati di diversa interpretazione per un prodotto giovane e da poco adottato, ma ci sono altri segnali da considerare.

Nel report 10-Q per il Q12008 di Google Checkout, Google dice “we are incurring significant costs and expenses to support our Google Checkout product and promote its adoption by merchants and consumers […]”. I costi di adozione di Checkout presso i merchant e presso gli utenti sono sicuramente stati sottovalutati da Google. Da notare che nel report di Google per il Q3-2008 appena rilasciato, di Checkout non si parla nemmeno.

Marketing piu’ costoso del previsto, promozioni piu’ aggressive del previsto, Amazon nuovo competitor e Paypal che rimane saldo al comando. Certo. Ma anche piu’ responsabili che seguissero i Merchant, e non funziona solo mandare e-mail; i negozi online fatto attivita’ di logistica, packaging, selezione e spedizione prodotti, gestione degli approvigionamenti e dei clienti, non ci sono solo bit per loro e non si gestiscono come delle agenzie e la competenza marketing richiesta e’ diversa sia per Google che per i merchant stessi.

CON I MERCHANT PARECCHI ERRORI – Nel 2006, prima che Checkout fosse presentato ufficialmente, Google testo’ con qualche decina di merchant americani l’adozione del prodotto per verificare che cosa comportasse utilizzare un processo di checkout in Google piuttosto che sul negozio stesso e l’80% dei merchant rispose di non volerne sentire di Google Checkout.

Gli errori di Google a quel tempo furono molteplici, ma principalmente la diffidenza dei merchant ad un posizionamento d’offerta arrogante e di volere essere Google stesso un merchant come ad esempio non dare i dati dei clienti che facevano acquisti.

Per tutto il 2007, parecchi merchant si lamentano inoltre della poca dinamicita’ di Google nel permettere ai negozi di comunicare meglio con i clienti. Mentre Paypal fornisce addirittura un supporto alle modifiche grafiche e di marketing da inserire in fattura, Google Checkout a malapena permette di inserire il logo del negozio.

SCONTI E PROMOZIONI IL MARKETING DI GOOGLE PER CHECKOUT – E le commissioni chieste ai negozi? Aggressive da parte di Google, piu’ basse di un circuito VISA MASTERCARD e piu’ convenienti di Paypal, ma come gia’ detto, per i merchant non c’e’ problema a offrire Checkout o Paypal, e’ l’utente che sceglie.

Dare pertanto fino a $50 di bonus a chi comprasse con Checkout e’ stato per Google un passo quasi obbligatorio; in questo modo forzava l’adozione del prodotto da parte dei compratori, ma a costi piu’ alti.

E poco serviva scontare ai merchant l’uso di Adwords usando Checkout. Per un transato su Checkout pari a 10 volte quanto si spende in Adwords, Checkout e’ gratis per i negozi. Insomma, per 100$ di click, devi fare 10 vendite da 100$, oppure 20 da $50 al massimo. Senno si paga il 2% sul transato e comunque 20 centesimi di dollaro per vendita. Meglio di un circuito VISA o di Paypal, ma l’uso da parte degli utenti rimane comunque basso.

Infatti, dopo qualche mese, Google annuncia di inserire un loghettino grafico vicino agli annunci di Adwords che fanno uso di Checkout.

Dai merchant segnali positivi, ovviamente. L’etichettina Checkout che appare nella pubblicita’ di Adwords da’ un 23% di aumento nel click-through rate nelle campagne. E i clienti che usano Google Checkout convertono il 24% in piu’ rispetto agli utenti che usano il processo di acquisto standard (“e’ piu’ veloce, e’ piu’ semplice”).

MA LA SERP DI GOOGLE NON SI TOCCA – Insomma buone notizie, peccato che un elemento grafico terrorizzi i pensieri di Page e Brin, puristi da sempre della pagina di ricerca; quando si tratto’ di creare Adwords, se fosse stato per loro, non avrebbero mai affiancato alla search una linea di risultati “non naturali”.

E forse e’ meglio seguire altre strade piu’ complesse, come la Universal Search e portare gli utenti su ulteriori landing page piuttosto di viziare la pagina con un pericoloso precedente, ma questa strada e’ piu’ lunga e difficile e intanto Checkout affanna.

Ma c’e’ tempo. Perche’ Checkout per Google e’:

  • un sistema di pagamento online per utenti;
  • un sistema di transazione online per i negozi;
e questo lo sapevamo gia’, ma e’ anche:
  • il sistema migliore per avere merchant in Adwords;
  • il sistema che con Analytic potra’ convertire il mercato costo a click (CPC) in quello costo a vendita (CPA).

Eh si’, il sogno nel cassetto di Google Adwords e’ di poter avere milioni di prodotti e migliaia di merchant (cosa che oggi fa molta fatica a inserire e seguire), di scoprire come tracciare tutto con Checkout e Analytic e poi di dare a tutti la possibilita’ di usare questo sistema, chiamarlo Adwords 2 e sostituire ogni click possibile con un cpa equivalente, laddove la catena del valore sia sufficientemente controllata da parte di Google. La comunione avverra’ quando Checkout e Analytic saranno pronti e i clienti educati come si deve. Per ora non proprio.

Copyright Czar e la firma di Bush

A poche settimane dal suo passaggio di consegne, Bush firma un atto con il quale praticamente crea una posizione e un laboratorio (detto il “Copyright czar”) dedicato per investigare i crimini contro proprietà intellettuali, brevetti e marchi.

Fino ad oggi tali crimini erano delegati ad un dipartimento di più ampia azione (tipo il DJA) e pertanto essi non erano in grado di essere “gestiti” nelle modalità richieste da un mercato sempre più complesso e differente da quello della droga o terrorismo. Per pressione sicuramente di major che tutelano i mercati della musica, dei film, delle software house come la BSA e degli autori stessi, da ora esisterà un ruolo per gestire direttamente questi reati.

– Import e export di prodotti senza autorizzazione del produttore (prodotti fisici o merce digitale);
– prodotti marchiati senza autorizzazione del produttore o marchi falsi;
– registrazione di film senza autorizzazione e traffico degli stessi;
– violazione con intento criminoso di un copyright.

Lo scopo di questo atto è quello di ridurre i prodotti contraffatti sia in US sia all’estero, identificare lacune nei processi di indagine e investigazione, condividere le informazioni tra i dipertimenti e le unità di ricerca, identificare ed eliminare network di falsificatori internazionali, aiutare le altre nazioni a tutelare e proteggere i diritti intelletuali, lavorare con le stesse per stabilire standard e policy per la tutela delle regole.

Per la voce “crimini di computer” vengono inoltre inclusi i crimini “over the Internet“.

Le Major non commentano, ma la creazione di questo processo è stato per anni sponsorizzato dalle stesse. Inoltre con l’apertura dei mercati digitali e la disponibilità in casa di reti sempre più veloci, era tempo che Internet apparisse tra le vocie dei mezzi da investigare in modo diretto.

Fa piacere a tutti poter guardare un film o ascoltare musica scaricata da internet, poichè è gratis e generalmente se essa delude non è un problema, basta cancellarla. Ma spesso tale attività sfocia nel diventare un’abitudine con la quale i film sono tutti gratuiti e la musica è praticamente di tutti e poche volte ci si chiede se effettivamente tale comportamento non stia insegnando a chi viene dopo di noi, i nostri figli ad esempio, se quello che vedono fare è corretto.

Spesso ci diciamo “Compriamo un prodotto se veramente è valido“, film, software o musica che sia, ma vedo sempre più giovani ignorare questo principio di buona fede e sistematicamente apprezzare il download gratuito piuttosto che l’esaltazione di un opera come ingegno di altre persone (e pertanto è il premio il comprarlo). Va bene la cultura del “gratuito”, ma bilanciata dal riconoscere che l’opera altrui è sempre un valore che va riconosciuto quando se ne usufruisce.

Per questo ben vengano le leggi, anche perchè è l’unico modo per cambiare i comportamenti scorretti di così ampia natura. Anche se US è sempre la prima a inasprire i controlli (almeno il diritto intellettuale là è ben riconosciuto), spesso è proprio il  fatto di dipendere da Hollywood per il nostro intrattenimento cinematografico a far sperare che anche in Europa ci sia un ulteriore passo presto.

Siamo tutti una Technology Media Company

Siamo tutti technology media company. E di “Media” pensiamo di saperne parecchio. Ma di Technology?

E’ indubbio che la tecnologia è una componente fondamentale per il successo delle aziende che operano su internet.

La stessa Yahoo si definiva anni fa Tecnology and Media Company e Google ha vinto la prima battaglia grazie a tre elementi palesemente tecnologici: “velocità” (bassissimi tempi di risposta), “potenza” (miliardi di documenti indicizzati) e “rilevanza” (il pagerank e la sua applicazione).

Un’ottima tecnologia è però condizione necessaria, ma non sufficiente per un buon servizio online. Serve anche il “controllo” sulla stessa. Essa è così importante nel vostro business plan, che dovete sapere come viene gestita.

Per questo i responsabili tecnologici di un progetto internet dovrebbero essere assolutamente qualificati, se non addirittura parte dell´idea stessa. Basta ricordare Wozniak di Apple, Allen e Gates di Microsoft, McNealy di Sun, Brin di Google, etc. Ma il controllo della qualità della tecnologia è spesso reso difficile dalla poca disponibilità di risorse e da delivery di progetto inderogabili.

Quanto vi fidate del vostro responsabile tecnologico? E’ giusto dare massima fiducia? Tenete conto che presa una direzione (piattaforme, server, ambienti, reti, etc), non sarà più possibile cambiarla.

Technology Media Company Comic

Technology Media Company Comic

Alcuni degli errori tipici.

“Beware of third parties support”.

Affidare il controllo dei sistemi a società specializzate, sperando che le stesse siano veramente qualificate, per poi accorgersi mesi dopo che il balancing dei server è sbagliato, ma oramai il costo della banda è stato modellato al doppio per colpa di questa “incompetenza”.

“Peaks of Traffic”.

Sottovalutare le problematiche di picco di traffico. Tre volte il traffico non significa moltiplicare per tre il costo delle risorse e dei processi e i sistemi standard php, mysql, apache vanno conosciuti bene tanto quanto la gestione dei processi delle macchine; una competenza difficilissima. Per questo vi chiederanno sempre il doppio delle macchine realmente necessarie. Sembra costare meno, ma i sistemi non saranno mai al meglio delle condizioni.

“Traffic Reports”.

Avere migliaia di report sul consumo di banda, sui pacchetti errati, sugli IP che si collegano abusivamente, le porte TCP aperte, ma nessun che considera il fatto che una buon business oggi sfrutta sistemi come Google, Adwords, Adcenter, Yahoo in maniera così estensiva da rendere questi report inutili accroccaglie di numeri a meno che essi “conoscano” questi aspetti. Che strano, il report dell’housing (fa parte del servizio più costoso) continua a indicare sempre e solo gli stessi IP… sono quelli di Google. Ma vengono calcolati come traffico “normale”, falsando forecast di consumo, costo e stime delle risorse. Servire pageviews può costare parecchio (anche +100% nel business plan) per colpa di questi report.

“Simple is better”.

Perdere di vista le cose più semplici. Un’immagine? E’ una jpg, lasciamola tale e mettiamola su di un server destinato a servire immagini. Invece, poichè tale gestione può essere troppo “system dependent”, gli sviluppatori portano le immagini nel database e scrivono codice per stamparle, creando giganteschi file di dati e un codice che viene eseguito migliaia di volte per stampare le foto sul sito. Peccato lo stesso introduca stressing sui sistemi, limiti il numero di processi aperti (quindi si ritorna ad un problema di “system”) e persino bug che una <img src> non avrebbe certo creato.

“Speed is a key to success”.

Performance… il grande sconosciuto. Per fortuna Google ha svegliato un pò tutti quanti, insegnando che performance significa “successo”, altrimenti saremmo ancora a dare tutto in pasto alla FULL TEXT di MySql e sperare di avere un result set come quello di Google. Troppo spesso si pensa che i tool a disposizione risolvano i problemi da soli. Se MySql o SQL Server *non* sono diventati Google, un motivo ci sarà nelle loro capacità di Indexing, Ranking e Rilevanza…

“Schedule Time”.

Assicuratevi che le risorse tecniche siano gestite bene. Assicuratevi che il vostro Responsabile sappia gestire il suo tempo e il tempo degli altri. Spesso non sa gestire il suo tempo. Che sappia allocare un tempo (medio) per le emergenze nei suoi diagrammi (più serve tempo imprevisto e più ne tenga conto nelle  pianificazioni e meno ne serve e meglio distribuisca il “gap” di emergenza nei prossimi plan) e infine moltiplichi sempre per 2 tutto quello che dice del suo impiego e per 3 per il tempo degli altri.

Insomma, se il vostro progetto è tecnicamente critico, abbiate sempre un modo di controllare il valore della tecnologia che producete.

Non abbiate timore di chiedere e farvi spiegare i dettagli dei processi e di poterli confrontare con esterni. E’ importante che il team tecnico vi dica “come fare le cose” e non “che non si può fare”; spesso quest’ultima risposta è solo di comodo.

Video Gaming Industry e la crisi

Dall’inizio dell’anno, l’indice delle 30 blue-chip, il DJIA, e’ sceso ad oggi del 40%. Il NASDAQ, peggio, del 42%, il DOW JONES ha appena avuto la “peggiore settimana della sua storia”, 18% in meno in una settimana.

In Italia, le fashion brand stanno modificando il numero di prodotti destinati all’estero: quelli destinati agli U.S.A. in particolare, al ribasso. Pensano che il Q1 2009 non sara’ per niente buono per loro. La GDO dice che anche la vendita di un bene primario come il cibo subira’ un calo. E per dopo Natale ci sono solo preoccupazioni.

La Gaming Industries sta subendo lo stesso calo, in media un 40% dall’inizio dell’anno.

Eppure Electronic Arts manda un segnale agli azionisti dicendo che quando la gente vuole risparmiare o, meglio, non vuole spendere, generalmente incrementa le ore spese in casa o al cinema. Per la Gaming Industries, la paura economica alla fine produce piu’ ore spese davanti ad un video game, e, cinicamente, un numero piu’ alto di disoccupati significa piu’ ore a casa.

Il titolo peggiore e’ THQ, quella di Saints Row e SmackDown, -68% in un anno, ma la colpa e’ dei titoli sfortunati che non raggiungono mai un ottimo giudizio. Con Ratatouille e Wall-E  ignorati e Saints Row — cantiamo tutti insieme — fortemente battuto dai concorrenti come Rock Band o Guitar Hero.

EA perde il 53% in un anno, da $60 a $27 di settimana scorsa. Benche’ sia la societa’ con il maggior fatturato, con Spore e Warhammer nei negozi, paga il ritardo di questi due titoli, Fifa 2009 appena uscito, Battlefield Heroes in ritardo, Harry Potter nel 2009. Ma confidenti nel fatto che il Q4 vedra’ queste revenues, EA spera in un calo minore.

La fabbrica di soldi Blizzard-Activision e’ quella che perde meno, ma solo perche’ 1 anno fa non esisteva. -28% in un mese, ma World of Warcraft ha oramai abbonati per 11 milioni world-wide ed e’ praticamente cocaina per chi gioca. 

Con piu’ gente in casa, c’e’ da aspettarsi che aumentino gli abbonati e le ore spese; per il fatto che il 13 novembre esce il seguito di World of Warcraft, Blizzard-Activision potra’ garantirsi una minor perdita rispetto alla concorrenza.

Anche per questo, Blizzard annuncia di spezzare in tre un bestseller di sempre, Starcraft 2, in modo da assicurarsi un ottimo 2009 con Stracraft 2, Wings of Liberty e altre due espansioni, da un solo titolo previsto in origine. Insomma, se con uno e’ stato un bestseller di sempre, con tre sara’ senz’altro un buon ritorno delle perdite di queste settimane. E se il gioco era criticato per mancanza di innovazione, con ben 2 espansioni hanno gia’ risolto una eventuale “crisi” del prodotto senza danneggiarne il prestigio.

Insomma, la Gaming Industries potrebbe soffrire meno degli altri settori. Nella crisi qualcuno sorride e dice “I disoccupati hanno piu’ ore da dedicare a casa” e aggiunge “Se la gente non viaggia e sta a casa, che cosa fara’? Generalmente cercano una specie di ‘cheap entertainment’, i video giochi, i film“. Vedremo.

Banking Crisis for Dummies

La crisi economica di questi giorni e’ sempre piu’ una discussione popolare.

Oggi, quasi tutti quelli che ho incontrato, me ne hanno parlato, parenti compresi. Le vicende sono quotidianamente trattate dai media e le domande sorgono da parte di tutti.

Quella ricorrente e’: “Perche’ c’e’ questa crisi?” e posta da chi fa la spesa al supermercato non trova una risposta di immediato accesso. Pertanto, dopo l’ennesima domanda di oggi, ho deciso di rispondere con un esempio molto semplice, for dummies, io stesso che sono dummy di finanza.

La versione da “Supermercato” della Crisi for Dummies.

Paolo fa un mutuo che vale 1, restituira’ 2.

Mario fa un prestito che vale 1, restituira’ 2.

La Banca di Paolo cede l’1 che avra’ alla Banca Centrale.

La Banca di Mario cede l’1 che avra’ alla Banca Centrale.

La Banca Centrale presta 2 a Sergio.

Poiche’ la Banca Centrale presta soldi futuri, paga interessi alla Banca di Mario e di Paolo. La Banca di Paolo avra’ 1,1 degli 1 prestati e la Banca di Mario 1,1 invece di 1. La Banca Centrale avra’ 3 da Sergio e paghera’ tutti i debiti (2,2) e guadagnera’ 0,8.

La vita e’ difficile, la benzina aumenta e Paolo non paga una rata e Mario non paga una rata. Allora i 2 di Sergio non esistono e la Banca Centrale chiede altri prestiti.

Anche la Banca di Paolo e la Banca di Mario chiedono prestiti per continuare a servire altri clienti in attesa che Paolo e Mario paghino e che la Banca Centrale paghi il suo debito che ritarda.

Quando Mario e Paolo non pagano come previsto e sono n utenti, il sistema va in crisi. Se le Banche chiedono e prestano troppi soldi per sorreggersi l’una l’altra puo’ succedere di non fidarsi piu’ di una Banca — visto che non restituisce i prestiti — e di lasciarla al suo destino: il fallimento.

Ma in maniera piu’ estesa, ecco il “Perche’ della Crisi delle Banche for Dummies”.

Quando fate un mutuo per una casa, un’automobile o un televisore, la banca applica un interesse alle vostre rate in funzione di quanto siete a rischio per i pagamenti delle stesse. Piu’ siete inaffidabili e piu’ alto e’ il tasso da pagare.

Per la banca e’ un successo se l’interesse stipulato e’ alto poiche’ essa guadagna piu’ soldi. E’ obiettivo di chi vi stipula un contratto accordarsi per poche rate, ma ancora meglio avere venduto con tassi alti. Avere rate con elevati interessi e’ praticamente il “core business” delle banche.

Negli ultimi anni il numero di mutui erogati e’ aumentato vertiginosamente includendo tra i clienti un bacino di utenti piu’ rischioso (e piu’ gradito), aumentando la media degli interessi erogati e pertanto i guadagni, ma di conseguenza, eppure meno importante, i rischi di poter recuperare le rate.

Addirittura, il fatto di non pagare una rata e’ un ulteriore guadagno, poiche’ alla fine pagherete di piu’  visto che ci sara’ un interesse ulteriore; e se non pagherete del tutto, be’ il bene e’ comunque liquidabile e non ancora vostro.

Nello stesso processo, appena la banca ha in mano il vostro mutuo, ne piglia il potenziale valore e lo investe oppure lo presta.

A chi li presta? Ma semplice! Li presta a voi, che chiedete un prestito per pagare il mutuo poiche’ le rate che avete accettato di pagare con i relativi interessi sono diventate nel frattempo troppo impegnative e non potete non pagare per i vestiti dei vostri figli, il pane per la vostra famiglia.

Alle banche tutto questo piace: saltate una rata del mutuo, pagherete di piu’, chiedete un prestito rischioso, pagate di piu’ del normale, ma i soldi non vi sono negati se in prospettiva potrete restituirli in qualche modo.

Ma come? Le banche prendono il vostro muto e lo vendono ad altre banche le quali prestano quei soldi alla stessa gente che chiede un prestito per il mutuo? Si’, e secondo Fannie Mae e Freddie Mac — da loro in America dipende l’erogazione dei mutui — tutto questo andava (molto) bene, anzi come dicono nei loro report “is safe and guaranteed“.

Tra i “guaranteed” c’e’ che il sistema bancario rivende ad altri il tuo “debito” non in una unica trattativa, ma in diverse forme, pacchetti di investimenti di varia natura economica e ovunque nel mondo, diminuendo i rischi di un vostro potenziale mancato pagamento.

Questo insomma funzionerebbe se non fosse che il vostro mutuo e il vostro prestito diventano pero’ insostenibili e le rate che non si pagano iniziano ad essere troppe da parte di troppi.

Cosi’ tante che le stesse banche incrementano il numero di prestiti tra loro stesse per coprire i rispettivi mancati incassi (“shortfalls”) trattando tra di loro con lo stesso intento di avere tassi alti il piu’ possibile (ricordate, e’ il “core business“).

Lehman Brothers non ha piu’ trovato prestiti perche’ nessuno si fidava piu’ della stessa e non voleva piu’ dargli soldi ed e’ fallita.

Il fatto reale e’ invece che i veri ad andare in shortfall sono proprio i clienti; la benzina sale, il costo della vita sale, il salario si adegua in modo piu’ lento ecc… E’ palese che il sistema strozza i clienti che alla fine non pagano.

Ora gli Stati Uniti e l’Europa (in modo diverso) tentano di comprare i vari “pacchetti” sporchi fatti dalle banche per eliminarli e garantire la copertura dei shortfalls piu’ evidenti, ma il punto chiave e’ che in realta’ si dovrebbe rivedere questi interessi e dire ai clienti che e’ possibile rifare il mutuo con tassi di interesse minori. Ma questo tocca il “core business“, non fa guadagnare nessuno e non si puo’ fare.

Se la Crisi Economia deve preoccupare tutti, la risposta e’ si’.

Una banca con meno soldi significa meno prestiti ai privati e alle imprese, meno possibilita’ di gestire la cassa da parte degli imprenditori e delle associazioni, piu’ necessita’ che senza contanti si debbano tagliare i costi e quindi i salari. Meno salari, significa meno pane e libri per le famiglie.

Ebay dice che deve tagliare dei costi (1,000 posti di lavoro) per poter continuare ad investire.

Google Vice President UK Dennis Woodside dichiara che in Google va tutto bene e che non soffriranno della crisi anche se i budget dovessero essere tagliati, nel senso che comunque cresceranno di piu’ degli altri media (e non vuol dire che non soffriranno). Un messaggio di circostanza e concreto nello stesso tempo, ma che lascia qualche dubbio.

Se quest’anno Google crescesse intorno al 15%, basterebbe per tranquillizare azionisti e media, abituati al 30% dell’anno precedente?

Dopo mesi di crisi, una minor crescita di Google verra’ letta correttamente, oppure verra’ pessimisticamente additata come una conseguenza inevitabile della crisi che pertanto perdurera’ e continuera’ a sfiduciare i mercati rimanendo sulle prime pagine di tutti i media?

Amazon mp3 e iTunes di Apple

iTunes e’ uno dei piu’ grandi successi di Apple degli ultimi anni. Non economicamente, si intende, ma come concetto. Ha insegnato al mondo che la musica si scarica e si paga e che un buon servizio puo’ battere la diffidenza.

Benche’ Apple sia la prima a guadagnarci piu’ di tutti, in realta’ nessuno avrebbe mai scommesso sul futuro di Apple il giorno che una casa produttrice di computer per utenti elite annunciava un … mp3 player chiamato iPod.

Oggi Apple e’ il piu’ grande negozio di musica al mondo, vende piu’ di tutti gli altri negozi. Ha imposto le sue regole, il suo player e ora milioni di persone ne godono i servizi e i prodotti.

Ma le canzoni di iTunes sono protette e non possono essere copiate altrove, sono, come si dice in gergo, protette dal DRM.

Settimana scorsa alla presentazione del primo telefono basato su Android di Google, tra le righe si legge che uno dei servizi inclusi sara’ quello di Amazon per il download di canzoni libere da DRM.

Ma come? Una cosa cosi’ importante tra le righe della presentazione di un altro prodotto? Ma un servizio di download musica DRM free e’ un cambiamento notevole. Inoltre legato ad un prodotto Android-T-Mobile.

Apple inoltre ha parecchie etichette musicali scontente della politica con cui Apple decide i prezzi delle canzoni e di quanto le case pigliano. Avere una alternativa e’ il loro sogno e questo permette ad Amazon di chiedere un prezzo piu’ basso di iTunes, ed e’ possibile che il margine di Amazon sia lo stesso di Apple.

Eppure Apple stessa offre DRM-free da iTunes a 0,30$ in piu’ per canzone, ma visto che non c’era concorrenza la base di canzoni e’ rimasta molto limitata e le etichette aderenti molto poche (e solo una! EMI).

Insomma, tutti quanti beneficeremo da una nuova impennata di concorrenti per Apple e qualche costo per noi utenti scendera’ e la qualita’ potra’ solo migliorare, il nostro telefonino avra’ sempre piu’ servizi musicali e integrati e iTunes diventera’ sempre piu’ invasivo (non lo e’ gia’?).

Ma Amazon e’ pronta per la sfida?

Apple ci ha messo anni a portarci l’iTunes Store su tutti i desktop e su iPhone, sia per Mac che per Windows; invece Steve Jobs e’ nella commisione Europea per stabilire regole del commercio elettronico tra Europa, gli stati europei e ovviamente si e’ parlato di migliorare il diritto di poter acquistare media digitali con piu’ facilita’ e da qualunque nazione.

Amazon iniziera’ con il mobile (Android compatible), anche perche’ un’applicazione Apple e’ gia’ presente sul mio Mac e sul mio Windows da parecchio tempo, ma non mi viene in mente nulla di Amazon sul mio Mac; e per i cellulari? be’ quanta confusione di formati e sistemi, modelli e applicazioni…

Adobe: Save as… Webware application

Adobe (quelli di Photoshop e di Flash) e’ l’azienda che ha permesso al web e alle copertine di apparire belli come li vediamo. Come Microsoft e Apple, Adobe ha permesso al mondo dell’informatica di evolvere aspetto e design delle cose. Insomma, ha permesso alla comunicazione di comunicare meglio.

Adobe Products Icons

Adobe Products Icons

E’ interessante come anche per Adobe sia ora giunto il momento di fare un po’ di Webware.

Webware, applicazioni che per farti produrre usano il web e non piu’ solo il tuo pc; applicazioni che interagiscono con Myspace, Facebook, WordPress, iWeb, Flickr, iPhone, netbooks, mobile device, games e con il tuo sito e non piu’ solo con il tuo desktop.

Gia’ un anno fa Adobe dichiaravathe future is in software built around web-connected services“, perche’ media e comunicazione oggi hanno bisogno di parlare con molteplici audience e contemporaneamente. E il media oggi e’ la comunicazione su carta, ma e’ anche mobile, e’ web istituzionale ma anche quello “user generated” e in tutto questo Adobe e’ proprio il software per chi deve costruire la comunicazione tecnica di questi media.

Come per Microsoft e i suoi sviluppatori, il lavoro di un designer sara’ svolto anche grazie ad applicazione web-centriche con a disposizione community sempre piu’ grandi e specializzate.

E’ presto per pensare ad un software che scarica dal web moduli di codice solo per le tue necessita’? Non solo librerie, ma intere caratteristiche del prodotto. Macromedia usava gli Xtra, dei plugin tanto essenziali quanto indispensabili che espandevano le applicazioni. Ora Macromedia e’ di Adobe.

Dopo tutto anche Microsoft ora sposta il mirino da .NET (troppo server centrico) a Silverlight, “la tecnologia che abilita a nuove esperienze multimediali sul web”, molto piu’ user e web centrico e che parla la lingua dei Social Network.

Insomma, per Adobe ogni software dovrebbe permettere di integrarsi con il web e di fartelo creare secondo la migliore esperienza possibile e nel modo piu’ semplice e veloce possibile.

Anche Apple ci prova con il suo iLife (senza molta enfasi per ora, ma non sta disattenta) o con iTunes (per ora solo orientato e pronto alla musica e ai film).

E di Google e’ Gear lo stesso progetto come in Adobe e Microsoft. “Google Gear e’ il progetto open source che permette la realizzazione di applicazioni web piu’ potenti attraverso l’uso del browser” e se il browser e’ di google, Gear diventa un vero e proprio sistema, una webware da innumerevoli possibilita’ in cui costruirci il tuo prossimo progetto web-centrico e mobile compatibile.

E’ giusto che sia cosi’; dopo tutto parecchi usano sempre di piu’ il Web e la mail, hanno un bookmark di se stessi e di altri da qualche parte sul web, un messenger, delle foto online e tante pagine web piu’ o meno obsolete. Decisamente “Salva come file…” e’ troppo poco in un pacchetto software oggi.

Parecchi anni fa un mio caro amico, Jarno Zaffelli, mi parlo’ di una (sua) patent sul metodo di aggiornare pacchetti software, come Photoshop ad esempio, attraverso il web, grazie al quale dal web ti arrivava quello che ti serviva, scadeva dopo che lo usavi se ti serviva per poco tempo o ti durava quanto volevi. Non compravi 2660,79€ di software, solo quello che ti serviva per quanto ti serviva.

Sara’ cosi’?

Will Photoshop do this one day?

Will Photoshop do this one day?

Dopotutto se io voglio fare un menu’ pulldown in Ajax per la mia pagina su Facebook, non voglio comperare tutta la suite di Flash, eppure pagherei per un giorno d’uso di un widget che mi permetta di farlo con lo stesso risultato, il cui codice, magari, mi arriva in gran parte da “Adobe Max”, la community di Adobe.

Speriamo il webware sia anche questo.

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